Nei prossimi giorni dovrebbe riunirsi presso
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni un
"tavolo di confronto". All'ordine del giorno
la stesura di un codice di autoregolamentazione sul
modo corretto di rappresentare i procedimenti
giudiziari nelle trasmissioni televisive. Basta con la
gogna mediatica, basta con le spettacolarizzazioni, ha
detto l'Autorità. Quindi ha emanato un atto
di indirizzo e convocato il "tavolo" per
l'emanazione di un apposito codice deontologico.
E' vero che nei processi in TV spesso si esagera, anche
per aumentare gli ascolti. Ma qualcosa non va
in questo sistema di "indirizzo"
dell'informazione.Da Porta a porta ad Annozero, sono
molti i casi di rappresentazioni spettacolari di
procedimenti giudiziari in corso. Puntualmente l'AGcom
è intervenuta con richiami e sanzioni: rientra tra i
compiti che le sono assegnati dalla legge? E'
una prassi ormai accettata, anche se da un'attenta
lettura delle norme non si trova una disposizione
generale che preveda interventi dell'Autorità sui
contenuti dell'informazione e degli approfondimenti (si veda l'art. 1. c. 6, lett.
b della legge 249/97).
Comunque le critiche sul modo in cui sono spesso
condotti i "processi mediatici" sono
fondate. Le considerazioni
contenute nell'atto di indirizzo del 31
gennaio sono in gran parte condivisibili, anche se
l'atto stesso non sembra del tutto opportuno, perché
le norme sulla corretta informazione e sul rispetto
delle persone ci sono, a livello legislativo e
deontologico. In linea di principio non sono necessari
interventi "dall'alto" o ulteriori regole di
autodisciplina.
Il problema è in chi deve far rispettare leggi e
deontologia. In tutti i paesi democratici ci sono
organismi associativi che sorvegliano e intervengono
nei casi in cui l'informazione non appare corretta. I
tribunali puniscono comportamenti contrari alle leggi. In
Italia c'è addirittura un ordine professionale, unico
al mondo, che
dovrebbe sanzionare comportamenti non conformi alle
regole e anche intervenire in difesa dell'indipendenza
dei giornalisti. Ma, evidentemente, non funziona né
sul primo né sul secondo fronte.
L'informazione è troppo spesso succube
dell'influenza dei vari "poteri forti" che
governano il nostro Paese. Si vedano la fiacca
opposizione, le timide proteste che accolgono
l'annunciato disegno di legge sulle intercettazioni
giudiziarie. Il provvedimento, che ricalcherebbe
quello presentato nella passata legislatura,
vieterebbe - con pesantissime sanzioni - anche la
pubblicazione di contenuti non coperti dal segreto
istruttorio: una vera e propria censura preventiva.
Anche qui le regole necessarie, che non limitano la
libertà di espressione e proteggono la vita privata,
ci sono già. Basterebbe farle rispettare.
Forze dell'Ordine e tribunali sequestrano siti
internet e condannano i loro titolari contro ogni
logica costituzionale e anche, a volte, contro la
stessa legge. C'è il caso recentissimo di uno
studioso che è stato condannato per "stampa
clandestina" anche se il suo blog era firmato con
nome e cognome (vedi Blog e stampa clandestina:
aspettiamo la sentenza.
Non si contano le perquisizioni nelle redazioni e nelle abitazioni
dei giornalisti, che rendono impossibile esercitare il
diritto di cronaca perché annullano il segreto
professionale: per questo sono state più volte condannate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
L'informazione "cane da guardia della
democrazia"? Quarto potere? Quando, alcune settimane fa, il giornalista Marco Travaglio ha rivolto dagli
schermi televisivi gravi accuse nei confronti del
presidente della Camera dei deputati, questi non si è
presentato il giorno dopo davanti agli stessi schermi
per chiarire la propria posizione, come accade in
tutti i paesi democratici. Altrove, se il politico
avesse dimostrato la propria estraneità a fatti
oggetto dell'accusa, il giornalista sarebbe stato
cacciato a pedate. Qui invece il mondo politico si è
scagliato contro "l'arroganza" del
giornalista, trattato come un fastidioso seccatore,
irrispettoso della sacralità del potere.
Nel nostro Paese i giornalisti vivono con il fiato
sul collo: politica e mercato condizionano
l'informazione, le sovvenzioni pubbliche tengono in
piedi testate asservite al potere. Quando non basta,
ecco gli "atti di indirizzo", i disegni di
legge liberticidi, le "autoregolamentazioni"
imposte dall'alto: di fatto "eteroregolamentazioni"
accettate senza troppo discutere.
"Ci sono tre poteri nel Parlamento, ma nella
tribuna della stampa c'è un quarto potere, più
importante degli altri". Così, alla vigilia
della rivoluzione francese, lo statista inglese Edmund
Burke definiva i giornalisti.
Da noi, nel 1995 lo storico del giornalismo Nicola Tranfaglia
pubblicava un libro dal titolo significativo: "Ma esiste un quarto potere in
Italia?".
Una domanda retorica.
Ultima ora. Contro
il disegno di legge sulle intercettazioni si mobilita
la Federazione nazionale della stampa, con la
previsione di scioperi "anche di più giorni.
L'Ordine dei giornalisti «non rispetterà la norma del disegno di legge del governo - ove fosse approvata dal Parlamento -
che dispone la sospensione dal servizio o dall'esercizio della
professione fino a tre mesi del giornalista che pubblicherà atti di
indagine preliminare, ove sia evidente il pubblico e legittimo interesse
dei cittadini a conoscere la verità».
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