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Professione giornalista

Finisce nel nulla il disegno di legge "Salva Sallusti"

Diffamazione: il DDL muore, la vergogna resta

Il Senato boccia l'art. 1 e si chiude la storia di un testo vergognoso. Ma non c'è da festeggiare, perché restano in vigore le norme illiberali che hanno portato il direttore di un giornale sulla soglia del carcere.

27.11.12

La notizia: "Il Senato boccia l'articolo 1 del disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa, che prevedeva il carcere per il giornalista, ma non per il direttore". Di fatto l'intero testo finisce su un binario morto. Qualcuno festeggia. A sproposito.

Ci sono leggi che non piacciono a nessuno, ma che fanno comodo a molti nel Palazzo. Così se ne dice tutto il male possibile, si proclamano riforme, ma tutto resta come prima. L'esempio più chiaro è la legge elettorale, quella che il suo estensore ha definito "una porcata". Ma non si trova un accordo per cambiarla.

Così le norme in vigore sulla diffamazione a mezzo stampa sembrano non piacere a nessuno, in particolare quella che prevede il carcere per il giornalista. Così, quando è arrivata la condanna definitiva a quattordici mesi di carcere per l'ex-direttore di Libero Alessandro Sallusti, si è messo mano in tutta fretta a una nuova legge.

Ma siamo sempre l'Italia del Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare nulla. Così, tra una polemica e l'altra, il disegno di legge ha preso una piega ben diversa da quella annunciata, con sanzioni pecuniarie spropositate e il carcere per il giornalista autore della diffamazione. Con un salvacondotto per il direttore. "Una legge insensata, dal sapore di vendetta", l'ha definita Giulio Anselmi, presidente della Federazione degli editori di giornali, per una volta d'accordo con i giornalisti. 

L'accusa di vendetta non è peregrina. Se pensiamo che un servizio di Report sulle proprietà di Antonio di Pietro ha praticamente distrutto il partito Italia dei valori, capiamo perché il Palazzo ha tutto l'interesse a mantenere l'informazione sotto la spada di Damocle di sanzioni feroci. Senza distinzione di schieramento.

I nodi essenziali sono due: la misura della sanzione in proporzione al danno effettivamente subito dal diffamato e l'esclusione del carcere per il giornalista colpevole. Il testo in discussione non risolveva né l'uno né l'altro punto. Si poneva così - come le norme attuali - in netto contrasto con la giurisprudenza della CEDU, la Corte europea dei diritti dell'uomo.

Si legga, a questo proposito, il dossier Diffamazione a mezzo della stampa o altro mezzo di diffusione predisposto dal Servizio studi della Camera dei deputati. Riporta, fra l'altro, un passaggio della sentenza del 2 aprile 2009 (Kydonis c. Grecia), che ha condannato la Grecia al risarcimento nei confronti di un giornalista, affermando che “le pene detentive non sono compatibili con la libertà di espressione”, perché “il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei giornalisti di informare con effetti negativi sulla collettività che ha a sua volta diritto a ricevere informazioni”. La CEDU ha ribadito come la previsione del carcere sia “suscettibile di provocare un effetto dissuasivo per l'esercizio della libertà di stampa”.

Però, attenzione. In tutto questo non dobbiamo dimenticare che comunque il duo Farina-Sallusti l'ha fatta grossa (vedi Diffamazione e responsabilità dell'informazione e Perché è giusto punire un diffamatore seriale). L'attacco al magistrato è stato più che diffamatorio, la mancata rettifica un'aggravante sostanziale. Non facciamo di Sallusti una vittima. No alla galera, ma sanzione deve essere proporzionata alla gravità del fatto.

Così ora sembra certo che l'ex-direttore di Libero dovrà scontare la detenzione agli arresti domiciliari in casa della sua compagna Daniela Santanchè. Ecco perché aveva scritto che preferiva il carcere, dicono le solite malelingue.

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