La notizia: "Il Senato boccia l'articolo 1 del
disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa, che
prevedeva il carcere per il giornalista, ma non per il
direttore". Di fatto l'intero testo finisce su un
binario morto. Qualcuno festeggia. A sproposito.
Ci sono leggi che non piacciono a nessuno, ma che fanno
comodo a molti nel Palazzo. Così se ne dice tutto il male
possibile, si proclamano riforme, ma tutto resta come
prima. L'esempio più chiaro è la legge elettorale,
quella che il suo estensore ha definito "una
porcata". Ma non si trova un accordo per cambiarla.
Così le norme in vigore sulla diffamazione a mezzo
stampa sembrano non piacere a nessuno, in particolare
quella che prevede il carcere per il giornalista. Così,
quando è arrivata la condanna definitiva a quattordici
mesi di carcere per l'ex-direttore di Libero
Alessandro Sallusti, si è messo mano in tutta fretta a
una nuova legge.
Ma siamo sempre l'Italia del Gattopardo: cambiare tutto
per non cambiare nulla. Così, tra una polemica e l'altra,
il disegno di legge ha preso una piega ben diversa da
quella annunciata, con sanzioni pecuniarie spropositate e
il carcere per il giornalista autore della diffamazione.
Con un salvacondotto per il direttore. "Una legge
insensata, dal sapore di vendetta", l'ha definita
Giulio Anselmi, presidente della Federazione degli editori
di giornali, per una volta d'accordo con i
giornalisti.
L'accusa di vendetta non è peregrina. Se pensiamo che
un servizio di Report sulle proprietà di Antonio
di Pietro ha praticamente distrutto il partito Italia dei
valori, capiamo perché il Palazzo ha tutto l'interesse a
mantenere l'informazione sotto la spada di Damocle di
sanzioni feroci. Senza distinzione di schieramento.
I nodi essenziali sono due: la misura della sanzione in
proporzione al danno effettivamente subito dal diffamato e
l'esclusione del carcere per il giornalista colpevole. Il
testo in discussione non risolveva né l'uno né l'altro
punto. Si poneva così - come le norme attuali - in netto
contrasto con la giurisprudenza della CEDU, la Corte
europea dei diritti dell'uomo.
Si legga, a questo proposito, il dossier Diffamazione a mezzo
della stampa o altro mezzo di diffusione
predisposto dal Servizio studi della Camera dei
deputati. Riporta, fra l'altro, un passaggio della
sentenza del 2 aprile 2009 (Kydonis c. Grecia), che ha
condannato la Grecia al risarcimento nei confronti di un
giornalista, affermando che “le pene detentive non sono
compatibili con la libertà di espressione”, perché “il
carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei
giornalisti di informare con effetti negativi sulla
collettività che ha a sua volta diritto a ricevere
informazioni”. La CEDU ha ribadito come la previsione
del carcere sia “suscettibile di provocare un effetto
dissuasivo per l'esercizio della libertà di stampa”.
Però, attenzione. In tutto questo non dobbiamo
dimenticare che comunque il duo Farina-Sallusti l'ha fatta
grossa (vedi Diffamazione e responsabilità
dell'informazione e Perché è giusto
punire un diffamatore seriale). L'attacco al
magistrato è stato più che diffamatorio, la mancata
rettifica un'aggravante sostanziale. Non facciamo di
Sallusti una vittima. No alla galera, ma sanzione deve
essere proporzionata alla gravità del fatto.
Così ora sembra certo che l'ex-direttore di Libero
dovrà scontare la detenzione agli arresti domiciliari in
casa della sua compagna Daniela Santanchè. Ecco perché
aveva scritto che preferiva il carcere, dicono le solite
malelingue.
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