Tranquilli, Alessandro Sallusti non finirà in gattabuia.
Il fracasso inconsulto sollevato contro la sua condanna
definitiva per diffamazione porterà a qualche
provvedimento, che farà risparmiare alla
collettività la spesa per mantenerlo qualche mese in
carcere.
"Non si mette in prigione un giornalista per un reato
d'opinione" è la sintesi dei discorsi urlati di
questi giorni. Ed è un principio condivisibile, perché
se i giornalisti sono continuamente sotto tiro non c'è
una vera libertà di stampa E dove non c'è libertà di
stampa non c'è democrazia.Dunque salviamo pure
Alessandro Sallusti dal carcere. Ma come la mettiamo se la
diffamazione è compiuta da un cittadino che non è un
giornalista? Questo è il primo punto critico. Tutti hanno
diritto di manifestare liberamente le proprie opinioni,
dice la Costituzione. Dunque, in linea di principio, in un
paese democratico i reati di opinione non dovrebbero
nemmeno esistere.
La diffamazione è un reato che può avere conseguenze
molto gravi per il diffamato. La sanzione penale è dunque
giustificata. Ma la diffamazione a mezzo stampa può avere
conseguenze molto più pesanti di quella semplice. E' un reato
grave, tanto più grave quando a commetterlo è un
giornalista. Cioè un professionista che ha l'obbligo di
verificare le notizie e deve essere consapevole delle
conseguenze che possono avere le manifestazioni del suo
pensiero.
Poi c'è il direttore responsabile. Un altro
giornalista, che ha un dovere in più: è responsabile di tutto quanto viene pubblicato
sul giornale che dirige. Ha quindi l'obbligo di
controllare. Se non lo fa,
commette il reato di "omesso controllo" ed è
condannato a una pena la cui misura è in relazione a
quella prevista per il reato principale. Per quanto si
possa criticare l'ordinamento della stampa in Italia, è
difficile negare la correttezza di queste norme.
Il "caso Sallusti-Farina" rappresenta forse
un esempio al limite dell'immaginabile. Il quotidiano Libero,
allora diretto da Alessandro Sallusti, pubblica nel 2007 un articolo
(di discutibile fattura), firmato con lo pseudonimo di "Dreyfus",
in cui si attacca con violenza un giudice. Particolare
essenziale: le critiche di "Dreyfus" sono
fondate su una notizia inesatta, già pubblicamente
smentita.
Non c'è libertà di opinione o diritto di critica che
tenga: c'è una notizia falsa come presupposto della
diffamazione. Sallusti è condannato. Non per omesso
controllo, come si riteneva fino alla pubblicazione del comunicato stampa
della Corte di cassazione, ma per il reato di
diffamazione. La condanna d'appello è confermata dalla
Suprema corte. Sallusti rischia il carcere (ma forse no...)
e scoppia il putiferio.
Ora, un pezzo alla volta, si scopre che "Dreyfus"
è Renato Farina, oggi deputato del PDL, un tempo
giornalista (lo conferma, tardivamente, lui stesso). Radiato dall'Ordine perché collaboratore dei
servizi segreti. A questo punto qualcuno si ricorda che
l'anno scorso lo stesso Sallusti fu sospeso per due mesi
dallo stesso Ordine, per avere ospitato articoli di
Farina, nonostante la sua radiazione dall'albo
professionale. Sanzione che qualcuno trova discutibile,
perché anche un ex-giornalista deve poter esprimere le
proprie opinioni, come un cittadino qualsiasi. Però - è
la mia opinione - dovrebbe firmarle col suo nome.
A questo punto è chiaro che ci troviamo di fronte a un
paradosso, o almeno a un pasticcio. Ci sono due persone
che hanno commesso un reato molto grave, diffamando
pesantemente un magistrato. Ma - secondo le opinioni
gridate - non dovrebbero essere punite, perché il
giornalista deve godere di una specie di
immunità che gli consenta di esprimere liberamente le
proprie opinioni o raccontare fatti scomodi. E non c'è
dubbio che una garanzia in questo senso è
necessaria.
Si deve trovare un difficile punto di equilibrio.
Difficile non solo dal punto di vista strettamente
giuridico, ma anche perché il nostro legislatore non
sembra particolarmente attento ai problemi della libertà
di informazione. Tanto che non mette a mano a una riforma
dell'ordinamento della stampa, che risale a un epoca
remota (la legge 47 del 1948) e mantiene l'impostazione
della legge fascista (vedi il confronto in Da Mussolini alla
democrazia è
cambiato qualcosa?).
E' un ordinamento che rende possibile la condanna per il
reato di "stampa clandestina" di un blogger che
si firma con nome e cognome (vedi "Stampa clandestina": una sentenza inaccettabile).
Ora la Corte di cassazione manda finalmente assolto Carlo
Ruta (qui la
sentenza), che però ha dovuto subire un trattamento
da delinquente, per un'interpretazione forse tendenziosa
dell'antica legge ancora in vigore.
Ancora. E' un ordinamento che prevede il reato di
"esercizio abusivo" della professione
giornalistica e in questo modo consente di ostacolare il
lavoro di un (giornalista) che svolge inchieste scomode.
E' il caso di Pino Maniaci di Partinico, incriminato due
volte e mai difeso dall'Ordine, proprio perché
"abusivo" (vedi in Giornalisti e precari: la casta dei
"giornalari").
In tutto questo il "caso Sallusti" può
finire nel peggiore dei modi. Con un provvedimento ad
personam (o ad hoc) che lo salvi dalla galera
(comunque improbabile), ma senza intaccare un sistema che
fa comodo a molti. Soprattutto a quelli che lo dovrebbero
cambiare.
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