La televisione analogica terrestre non si spegnerà quest'anno, né nelle
regioni dove lo "switch-off" era programmato per la fine di questo
mese né nel resto d'Italia alla fine di dicembre.
La decisione del ministro delle comunicazioni Gentiloni risale ad alcune settimane
fa e ha trovato grande consenso nella
seconda conferenza nazionale sul digitale terrestre, che si è tenuta a Napoli
dieci giorni fa con il significativo titolo "La televisione di tutti".
Dunque switch-off rinviato al 2008 nelle regioni pilota e transizione definitiva
al nuovo sistema tra il 2010 e il 2012, come previsto dall'Unione europea.
Ma non è questa la novità più interessante emersa dalla conferenza di
Napoli, perché era chiara a tutti (tranne che al passato Governo)
l'impossibilità di compiere in tempi tanto brevi una transizione di tale
complessità e tale impegno economico. La vera novità è l'adozione di un
diverso modello di televisione digitale terrestre, fondato in primo luogo sulla
gratuità dell'accesso come regola generale e sulla pay-tv per alcune
programmazioni.
Una specie di rivoluzione, perché fino a ora la televisione digitale terrestre
(DTT) in Italia era stata impostata su un modello diverso.
Il quadro immaginato nella passata legislatura era più o meno questo: oltre
al trasloco dell'attuale programmazione pubblica e privata dall'analogico al
digitale, il DTT avrebbe dovuto svilupparsi su due filoni principali, servizi a pagamento
(pay-TV) da una parte e il cosiddetto T-government dall'altra,
ovvero una serie di servizi per i cittadini erogati
dalle pubbliche amministrazioni.
Sulla televisione a pagamento si è lanciata subito
Mediaset, con importanti investimenti destinati ad
assicurarle fin dall'inizio una rilevante quota di
mercato. Sul T-government ha puntato il governo, distribuendo finanziamenti per lo sviluppo di
applicazioni per l'accesso alle pubbliche
amministrazioni.
Pay-TV e T-government avrebbero dovuto trainarsi a
vicenda, con il secondo come "fiore
all'occhiello" dell'innovazione tecnologica.
In tutto questo i maligni possono trovare una
curiosa coincidenza: la stessa persona controllava sia
Mediaset, sia il Governo. E quelli ancora più maligni
potrebbero rilevare una coincidenza ancora più
curiosa: la sostanziale assenza del sistema televisivo pubblico in
tutto il processo di avvio, assenza che nei fatti
favoriva il concorrente privato.
Ma è acqua passata.
Infatti una delle novità più importanti della conferenza di Napoli è il forte
impegno della Rai come motore dello sviluppo del DTT, sulla scia degli altri
Paesi europei nei quali il servizio pubblico ha un ruolo determinante nell'avvio
del sistema.
Ma a questo punto sorge una lunga serie di domande. La prima è perché sia
così urgente "spegnere" la televisione analogica. La risposta è che
nello spazio di un solo canale analogico si possono
collocare molti canali digitali. Siccome la banda
radio disponibile per il segnale televisivo terrestre
è limitata e già da tempo satura, è necessario disporre
di canali liberi per le emissioni in tecnica digitale,
che permettono di moltiplicare il numero dei canali
trasmissibili in una determinata zona.
Qui si inserisce l' iniziativa del ministro Gentiloni, che ha avviato per prima
cosa il censimento delle frequenze, premessa della loro equilibrata
assegnazione. Le frequenze sono una risorsa pubblica e limitata, saccheggiata
disordinatamente da trent'anni: è indispensabile mettere ordine affinché
l'evoluzione non si trasformi in un aggravamento del caos.
L'Unione europea ha ragionevolmente previsto lo "switch-off" tra
il 20010 e il 2012, mentre il nostro precedente esecutivo aveva anticipato il
termine di quattro-sei anni. Perché? Evidentemente per "forzare" il
sistema e lasciare indietro tanti operatori di piccole dimensioni, non ancora
pronti per contrastare la forza del duopolio Rai-Mediaset, con la seconda
più avanti dell'emittenza pubblica nell'offerta di servizi e contenuti.
In tutto questo c'è da segnalare che l'Unione europea ha aperto una procedura
di infrazione contro l'Italia, per il meccanismo con il quale la legge Gasparri
ha suddiviso le frequenze del digitale terrestre, mantenendo sostanzialmente la
prospettiva del duopolio Rai-Mediaset. Il Governo risponde che questo è uno dei
punti della legge che sarà modificato.
L'aumento del numero di canali significa sia un maggiore pluralismo
informativo sia una maggiore disponibilità di programmi ad alto valore aggiunto
(ad "accesso condizionato", cioè a pagamento), con la conseguente
espansione sul piano economico e dell'occupazione. Dunque la DTT come motore di
sviluppo, e ciò basterebbe a giustificarne la diffusione. Ma c'è un altro
ordine di problemi da affrontare, che riguarda l'integrazione del digitale
terrestre nel sistema globale dei media, in particolare tra la tv via satellite
e l'internet. La prima ha il vantaggio di poter essere vista in ogni luogo,
mentre il DTT soffre delle stesse limitazione dell'analogico e si riceve poco o
nulla nelle aree "in ombra". La seconda presenta una interattività
molto più forte.
A prima vista col digitale terrestre non c'è nulla che non si possa fare con
la televisione satellitare o l'internet. Potrebbe sembrare quindi un mezzo
praticamente inutile, perché la disponibilità di un maggiore numero di canali
rispetto al sistema terrestre analogico può essere assicurata dal satellitare,
con la stessa quota di interattività; mentre l'internet offre non solo un
numero praticamente illimitato di fonti di contenuti, ma anche l'interattività
più efficace.
E quando si parla dell'internet non di deve pensare solo al World Wide Web e
alle modeste possibilità del video in streaming, ma soprattutto alla
IPTV, la "vera" televisione via internet che sembra vicina al decollo.
L'integrazione tra DTT e internet può essere una chiave di volta per lo
sviluppo di tutto il settore multimediale. Per questo il CNIPA, nel secondo bando
per i finanziamenti al digitale terrestre, ha previsto anche "la realizzazione
di un Set Top Box Avanzato (STBA) completamente Open Source, che garantisca l’integrazione
fra piattaforma DTT e IP e che gestisca la connettività in banda larga sia
wired che wireless".
E qui incominciamo a intuire quali possono essere le implicazioni e le
interazioni tra i diversi media (che, come vedremo, giustifica l'esistenza del
DTT) e anche le loro sovrapposizioni: la televisione terrestre non arriva
dovunque, ma anche la banda larga (indispensabile per la IPTV) non copre tutto
il territorio. La tv via satellite arriva dappertutto, ma ha un'interattività
limitata. E ci sono altri tecnologie in arrivo, come la televisione mobile, che
in questo periodo incomincia a raggiungere i telefonini predisposti, e il
WiMAX, per il quale si attendono le regole nelle prossime settimane.
Il quadro è dunque complesso e in frenetica evoluzione e non solo per quanto
riguarda le "piattaforme". Infatti sulle piattaforme devono circolare
contenuti, che qualcuno deve produrre e qualcuno deve distribuire. Quali
contenuti per quali piattaforme? Sono possibili, e quali problemi comportano, i
contenuti "multipiattaforma? Come possono essere distribuiti e come si
possono "incrociare" e integrare contenuti prodotti per piattaforme
diverse?
E in tutto questo, come si devono pagare e riscuotere i "diritti
digitali" senza i quali il sistema non può funzionare?
Cercheremo di rispondere ad alcune domande essenziali, tracciando un quadro
d'insieme dei nuovi media, con la serie di articoli La
TV digitale terrestre nel sistema dei media.
Per completare il quadro non dobbiamo dimenticare che nel sistema televisivo italiano è
sempre aperto il problema di Sky Italia. Il decoder coattivo, proprietario e
"blindato", rende molto difficile la vita degli
utenti della TV satellitare imponendo la scelta di determinati canali e rendendo difficile o
impossibile riceverne altri (vedi Decoder
unico: lo strumento per la "convergenza" dei media e Sky
Italia condannata dai giudici di pace). L'attuale governo fa delle
liberalizzazioni la sua bandiera: non sarebbe questa una liberalizzazione (a
costo zero) da fare subito, assicurando ai cittadini il fondamentale diritto
all'informazione?
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