l tribunale di Aosta ha condannato per diffamazione un "blogger",
paragonandolo al direttore responsabile di un periodico. La sentenza
è inaccettabile, non solo "in diritto", e rivela la
confusione che regna nel quadro normativo che dovrebbe regolare le pubblicazioni
telematiche (oltre che la scarsa conoscenza del contesto telematico in cui si sono svolti i
fatti). Scrive il giudice: "... essendosi provato... che il TIZIO era il
soggetto che aveva in disponibilità la gestione del blog, egli risponde ex art.
596 bis c.p., essendo la sua posizione identica a quella di un direttore
responsabile".
E commette un imperdonabile errore di diritto, perché la figura giuridica del
direttore responsabile è specificamente prevista dalla legge del 1948
sulla stampa. Quindi non può essere desunta da considerazioni di fatto. Se non
c'è l'iscrizione della pubblicazione nel registro del tribunale, con
l'indicazione di Tizio come direttore responsabile, Tizio non è, per la legge,
direttore responsabile. Quindi non può essere soggetto alla norme penali che
riguardano tale figura. Si deve applicare solo la norma che riguarda la
diffamazione "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" e, se non è
identificato l'autore del reato, il "blogger" può, eventualmente,
essere condannato per concorso nel reato stesso.
Squallida la vicenda, modesta comunque la condanna, il problema non è la
brutta sentenza (vedi l'articolo L'orfana
figura del direttore del direttore responsabile di Daniele Mininotti). Il
problema è la confusione delle regole sull'informazione diversa da quella
stampata su carta. Che è stata scritta nel 1948, ma mantiene
disposizioni che risalgono all'ordinamento fascista.
Per capire come stanno le cose, cerchiamo di descrivere, in estrema sintesi,
il quadro normativo dell'informazione sulla stampa.
Nel rispetto (non molto rigoroso) dell'art. 21 della Costituzione, c'è prima di
tutto la citata legge n. 47 del 1948. Essa stabilisce, per i quotidiani e la stampa
periodica, l'obbligo di iscrizione nell'apposito registro del tribunale del
"luogo della pubblicazione", con l'indicazione del direttore
responsabile, che deve essere un giornalista iscritto in un albo dell'ordine
professionale.
Già il concetto di "luogo di pubblicazione" è oscuro e discutibile
per l'informazione sul web, perché il server può essere ovunque nel mondo e la
redazione può essere "mobile". In ogni caso le regole della 47/48 considerano solo l'informazione cartacea, anche se a quel
tempo c'erano anche i notiziari della radio.
Nel 1990 la legge n. 223 (la famigerata "Mammì") estende alla
radio e alla televisione le regole sul direttore responsabile: le definizioni
dell'art. 1 della legge del '48 possono a questo punto considerarsi
implicitamente modificate, perché la legge stessa diventa applicabile anche
all'informazione "senza carta".
Un ulteriore colpo alla definizione di "stampa" del '48 viene con la legge
n. 62 del 2001, che introduce il concetto di "prodotto
editoriale", che accomuna la stampa su carta all'editoria elettronica. Le disposizioni sono confusionarie,
con sospetti di incostituzionalità. E' necessaria una precisazione (che non
risolve i problemi, anzi aumenta la confusione): essa arriva con il decreto
legislativo n. 70 del 2003, che parla per la prima volta di "testata
editoriale telematica": Se ne deduce che l'art. 1 della legge 47/48 è morto per abrogazione
implicita, come prevede l'art. 15 del codice civile.
Dunque è chiaro che quando si parla di normativa sulla stampa non ci si
riferisce solo a quella su carta. Come appare inutile l'affermazione che "la telematica non è stampa" . E
non perché la legge del '48 prendeva in considerazione solo l'informazione su
carta, ma perché chiunque, da una dozzina di anni, può constatare che sul web e sui canali radiofonici
e televisivi ci sono contenuti che sono "stampa" e altri che non
lo sono. Ma che differenza c'è tra la
comunicazione-informazione ("stampa" secondo la
legge del '48) e tutto il resto?. Secondo la legge del '48 e secondo la
62/01 il criterio distintivo è la periodicità. Criterio che andava bene -
forse - quando l'informazione era fatta solo dalla stampa che usciva a
intervalli regolari. Ma il mondo è cambiato, le vecchie regole non funzionano
più. L'esempio è sotto i nostri occhi, con questa rivista: nata con
periodicità regolare "plurisettimanale", passata poi a settimanale,
aveva il requisito della periodicità come condizione per l'iscrizione nel registro della stampa. Ora che esce a
intervalli irregolari non è più "stampa"? Il criterio deve essere
un altro: si deve distinguere tra chi "dà informazioni" liberamente,
grazie all'articolo 21 della Costituzione e chi "fa
informazione" come attività professionale o d'impresa (vedi "Fare informazione" e "dare
informazioni" sono cose diverse di Andrea Monti).
E' chiaro che al "libero informatore" non si possono imporre altre
regole che il rispetto della legge, civile e penale. Mentre i professionisti
devono essere soggetti a regole deontologiche serie e chiare, bilanciate
dalle garanzie indispensabili per "fare informazione" (per esempio, i
limiti alla ipotesi di sequestro della pubblicazione). Ho scritto
"professionisti". Ma il termine non va inteso nel senso della legge
69/63, cioè dipendenti da imprese editoriali. Il giornalista professionista
deve essere colui che fa informazione per professione, anche come free lance
(quest'ultimo è il vero "professionista" nell'accezione data anche
dalla normativa comunitaria sulle libere professioni).
Questo significa che è necessario rivedere non solo la legge del '48 sulla
stampa e quella del 2001 che introduce i "prodotti editoriali" anche
digitali, ma anche la n. 69 del 1963 sulla professione giornalistica e le non
ancora vigenti disposizioni in materia di "esame di stato" per
l'accesso alla professione. Tutto
questo nell'ottica della società dell'informazione e della
"convergenza" dei media, della libertà di espressione e della
libertà di impresa garantite dalla Costituzione. Cioè di quel "sistema
integrato dell'informazione" che deve essere visto non come strumento per
la gestione del potere mediatico, ma come pilastro della democrazia. Post-scriptum
E' giunta l'ennesima segnalazione di un tribunale che chiede di esibire
l'autorizzazione generale alla fornitura di servizi internet al provider di
hosting di una testata giornalistica. Come abbiamo più volte spiegato, la
richiesta è illogica e illegittima (vedi, fra l'altro, Come
essere in regola con le norme sulla stampa - Problemi per la richiesta al
tribunale).
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