Paralisi paradossale. L'espressione è cacofonica, ma
rende abbastanza bene l'idea della situazione della Rai.
"Paralisi" perché nulla si muove, nonostante
il mandato del consiglio di amministrazione dell'ente
scada dopodomani. "Paradossale" perché ci
sarebbero tutte le condizioni per nominare un nuovo CDA,
che ponga fine al controllo quasi diretto della società
di servizio pubblico nelle mani del proprietario di buona
parte dell'emittenza privata.
E' una pura questione di numeri. Secondo la legge in
vigore, la famigerata Gasparri, il consiglio di
amministrazione della Rai è composto da nove persone. Sette
sono nominate dalla Commissione parlamentare, una dal
Mistero del tesoro, che indica anche il nome del
presidente.
E' ovvio che la Commissione riflette la maggioranza che
sostiene il Governo e quindi elegge un consiglio che
rispecchia la stessa maggioranza. Il Ministro del tesoro
(cioè ancora il Governo) nomina il proprio rappresentante. A questo punto che lo stesso Ministero
indichi il nome di un presidente "di garanzia"
è quasi irrilevante.
Ora la situazione è questa: nella Commissione
parlamentare non c'è più la maggioranza di
centrodestra, a causa del passaggio di un suo componente
al Gruppo misto. Il rapporto tra le forze è ora di
venti a venti e il voto del presidente Sergio Zavoli è
determinante. Quindi la Commissione potrebbe eleggere i
suoi sette consiglieri mettendo in minoranza la fazione
del signore delle televisioni.
L'ottavo consigliere sarebbe nominato dal
"governo tecnico" in carica. Sarebbe, con ogni
probabilità, a sua volta un tecnico, non legato a una
parte politica. Anche il presidente potrebbe essere un
tecnico indipendente.
Dunque, numeri alla mano, oggi sarebbe possibile
sottrarre al signore delle televisioni il controllo del
servizio pubblico radiotelevisivo. Allora perché tutto
resta fermo?
Si dice e si ripete che è necessario liberare il
servizio pubblico dall'influenza dei partiti. Per questo
occorre una riforma che non può essere compiuta in
pochi mesi, soprattutto se non la vuole il partito
che ha ancora la maggioranza relativa nel Parlamento.
L'8 gennaio scorso il Presidente del consiglio aveva
promesso novità per la Rai, davanti alla grande platea
televisiva di Che tempo che fa:
"Mi dia ancora qualche settimana e vedrà". Ma
appena ha accennato a occuparsi della questione gli
hanno intimato un altolà perentorio.
E' evidente che il signore delle televisioni e la sua
ex-maggioranza di governo hanno tutto l'interesse a prolungare il
più possibile lo status quo. Ma che fa quella che fino a
qualche mese fa era l'opposizione? Nulla. L'ex-opposizione,
nella persona del segretario del maggiore partito, dice
che non parteciperà all'elezione di un nuovo CDA con
queste regole. Ma siccome le regole non è possibile
cambiarle in tempi ragionevoli, tutto va avanti come
prima.
Qualcuno, al centro dello schieramento politico,
propone che il Governo nomini un commissario
straordinario. Proporre è sempre una cosa buona e non
fa male a nessuno. Peccato che la soluzione sia
impossibile sul piano giuridico: servirebbe una modifica
legislativa ardua quanto una revisione della legge
Gasparri.
"Commissario" si fa per dire, rispondono i
più avvertiti. Si tratta di mettere al posto giusto
qualcuno che abbia la capacità di mettere in ordine i
conti dell'azienda. Come se i bilanci in rosso fossero il
problema più grave di un servizio pubblico, pagato dai
cittadini, che non svolge più il suo compito. Per
risanare le finanze dell'ente basterebbe recuperare
l'evasione del canone.
Però l'idea di un commissario a viale Mazzini è
suggestiva. Si potrebbe incaricare Montalbano. Oppure il
commissario Santamaria, quello delle storie di Fruttero
e Lucentini, visto che la televisione italiana è nata a
Torino.
Ma probabilmente non riuscirebbero ad arrestare i
colpevoli.
Vedi anche:
Rai privata, niente canone: a
chi conviene? - 12.02.12
Il futuro della Rai: "Ancora qualche
settimana..." - 09.01.12
Per la Rai è il momento giusto per
cambiare sistema - 06.12.11
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