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(14 giugno 2009 - 8 febbraio 2010)
Il
vecchio forum (19 novembre 2006 - 10 febbraio
2009) |
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Il manuale
del fotografo di strada (sconosciuto a Google)
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02.11.13
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Sul sito Foto-grafo c'è un ampio e dettagliato vademecum (in inglese) sui problemi
che uno street photographer può avere con le
autorità italiane. Una traduzione in italiano sarebbe
utile, considerando che le discussioni dei fotografi con
i nostri tutori della legge non interessano solo gli
stranieri.
La cosa curiosa è che Google non conosce questa
importante pagina. Nessuna stringa di ricerca la
identifica, mentre offre link analoghi per pagine
simili, riguardanti altri
Paesi.
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"Il morto
è rientrato in casa, poi è uscito"...
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05.08.13
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Ormai ai
reporter non resta che morire
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10.07.13
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Leggo la notizia che i ventotto fotoreporter del Chicago Sun Times
sono stati licenziati. Al loro posto i giornalisti
muniti di iPhone o altri ignobili arnesi del
non-giornalismo dei nostri tempi.
Nei prossimi giorni approfondirò l'argomento. Ora devo
scrivere, subito, del breve video pubblicato oggi dal
Corriere della sera.it. Il titolo dice tutto: "Egitto,
video choc: il reporter filma la sua morte". E' uno
dei tanti filmati drammatici che popolano le pagine on
line, mostrando anche come tanti reporter perdono la
vita, mentre sono lì per documentare la morte degli
altri. Perché per raccontare la morte devi trovarti
proprio dove si muore, non puoi guardare da lontano.
Così la tua strada si incrocia con quella di un
proiettile e da testimone diventi vittima in una
frazione di secondo.
Ma questo video ha qualcosa di profondamente diverso da
tanti altri: è una "soggettiva"
agghiacciante. L'uomo con la telecamera ha nel mirino
l'uomo col fucile; l'uomo col fucile ha nel mirino
l'uomo con la telecamera. Ma la telecamera non uccide,
il fucile sì.
Adesso sappiamo che il reporter si chiamava Samir Ahmed
Assem.
Proprio nei giorni scorsi, all'inizio della rivolta in
Egitto, lo stesso Corriere aveva pubblicato in prima
pagina delle foto molto efficaci, opera evidente di uno
o più fotografi di grande bravura. Ma anonime: la
"firma" che accompagna le foto o i video,
ormai su tutti i giornali, è quella dell'agenzia, non
quella dell'autore del servizio.
Questa è l'informazione di oggi: perché i lettori
conoscano il tuo nome, devi
morire.
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Due link per
capire dove va l'informazione
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03.03.13
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Non mi piace seguire la tendenza sempre più diffusa di
riempire il mio sito con pagine riprese da altri siti,
anche quando pubblicano articoli che starebbero bene su
MCreporter. Ma l'aggiornamento è importante. Ecco
dunque due link da tenere tra i "preferiti"
per fare il punto sull'argomento "sviluppi
dell'informazione".
Il primo lo cito spesso: è il
sito di Franco Abruzzo, ex-presidente dell'Ordine
dei giornalisti della Lombardia. L'aggiornamento quasi
quotidiano (segnalato da una newsletter) su tutte le
vicende della stampa italiana.
Il secondo l'ho appena scoperto. E' un blog ben fatto,
che si intitola Il futuro dei periodici e riporta
anche articoli pubblicati su siti esteri. L'autore si
copre dietro un rigoroso anonimato e spiega anche
perché.
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Qualche giornalista
sa come si chiama Ernst von Freyberg?
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15.02.13
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Una delle notizie di oggi è la nomina di Ernst von
Freyberg alla presidenza della banca del Vaticano.
Si pronuncia "ernst fon fraiberg". E' così
difficile? Sembra di sì, ascoltando i telegiornali più
seguiti: ll "fon" diventa spesso "von"
e "fraiberg" è "freiberg". E, per
quanto riguarda la grafia, la "v" deve essere
minuscola, e non maiuscola, come scrivono moltissimi
siti web, perché von Freyberg è un nobile. La
differenza è la stessa che c'è in italiano tra il
"de" nobiliare e il "De" dei plebei.
Ho voluto verificare la grafia, cronometro alla mano: ho
impiegato esattamente trentadue secondi, consultando
qualche sito tedesco. Perché non lo fanno gli spesso
strapagati professionisti del video? Perché non si
informano? Possibile che nessuno senta il dovere - sì
il dovere - di pronunciare correttamente almeno le
espressioni straniere più comuni?
Il pubblico saprebbe che il russo Putin si chiama
Vladìmir e non Vlàdimir, che management si
pronuncia (più o meno) "mènagment" e non
"manàgment" (o, peggio, "manàggemend").
Che Deutsche Bank si legge "doicce banc"
e non "doic benc". E via discorrendo.
Post scriptum. Oggi a Le Storie - Diario
italiano Corrado Augias ha osservato che il papa non
"si è dimesso", ma "ha abdicato".
Grazie, Augias!
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In Lingua
lessa e cervello fritto
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La maschera
della morte e le immagini-simbolo
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05.02.13
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Sono d'accordo con Ercole Tagliaferri (vedi qui sotto)
sullo scarso interesse delle polemiche intorno alla fotografia del militare francese con
la maschera che riproduce un teschio, simbolo della
morte. Le sue considerazioni sulla paura da incutere al
nemico, e su quella del soldato che combatte con la
morte accanto, sono giuste: non c'è niente di nuovo.
Però questo tipo di immagini può assumere un valore
simbolico importante. Chi ha i capelli bianchi ricorda
l'impressione che fece l'istantanea
agghiacciante del generale Nguyen Ngoc Loan che
uccideva a freddo un prigioniero Vietcong. Fu scattata
da Eddie Adams nel 1968 e vinse il Pulitzer. Divenne un
simbolo e fu un tassello non da poco dell'opposizione
alla guerra in Indocina.
Altre foto sono diventate icone della storia e
costituiscono una specie di memoria visiva comune. Oggi
tocca al militare francese. Ma non polemizziamo sulla
maschera, sulla foto e sulla sua pubblicazione. E' una
delle polemiche imbecilli del nostro tempo. Come se la
guerra fosse un'invenzione dei fotografi che la
documentano e dei media che pubblicano le immagini. Dice
il vecchio proverbio, che si vuole cinese: quando il
saggio indica la Luna, lo stolto guarda il dito.
Allora, invece di polemizzare sulla maschera,
polemizziamo sulla guerra. Su tutte le
guerre.
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La stupida polemica sul soldato in
maschera
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Ercole Tagliaferri - 05.02.13
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L'ipocrisia pseudo-pacifista imperante in questi tempi fa scandalizzare
i benpensanti per la foto di un soldato che - in un teatro operativo,
guerra, detta in termini concreti - si maschera con l'effige della
compagna che si trova sempre a fianco: la morte. A parte che la foto
ritrae un teschio e non la Morte (la cui iconografia è molto più
articolata), c'è da chiedersi cosa ci sia di nuovo. Da sempre i
combattenti a qualsiasi latitudine (dai samurai giapponesi, ai soldati
dell'esercito cinese, ai guerrieri delle tribù africane, alle orde
barbariche) conoscono bene il valore della paura e dell'importanza di
inculcarla in ogni modo nella psiche del nemico anche tramite immagini
(armature o maschere) e suoni (urla, rulli di tamburi).
In parallelo, ogni soldato deve cercare un modo per esorcizzare la folle
paura della morte che lo attanaglia ogni minuto che passa sul campo di
battaglia.
Breve: la fotografia in sé non è particolarmente interessante. Le
questioni che le sono sorte attorno, ancora meno.
Ercole Tagliaferri
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Francia, accordo tra Google e i giornali. Chi ci
guadagna?
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02.02.13
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Grande clamore per l'accordo siglato ieri a Parigi tra
il boss di Google Eric Schmidt e il presidente Hollande:
la querelle tra gli editori di giornali e il
gigante americano si chiude con il pagamento di 60
milioni (di euro o di dollari?) ai giornali e una
consulenza di cinque anni da parte di Google per la
migrazione alle edizioni on line.
Gli editori cantano vittoria: un po' di soldi in cassa
(ma per Google sono una mancia) e una partnership
tecnologica al massimo livello.
Ma chi ci guadagna di più è la ditta di Mountain View:
accordo già fatto in Belgio, in vista in Gran Bretagna,
inevitabile negli altri Paesi. Italia compresa. Alla
fine della storia Google avrà il controllo delle
ricerche sui siti di informazione di tutta Europa. Le
questioni a centro dell'attuale controversia per abuso
di posizione dominante, che sembra in via di risoluzione
a Bruxelles, al confronto saranno
un'inezia.
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Errore Rai: per
la vasca dei pesci non si paga il canone TV
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29.01.13
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Hai pagato il canone TV? O stai per pagarlo? Fa'
attenzione: checché ne dica la pubblicità che ci
scassa continuamente da tutti i canali del servizio
pubblico, non devi pagare per la vasca dei pesci, il
distributore di gomme americane, i vasi da fiori e altri
oggetti di casa.
Dice la legge: "Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od
adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è
obbligato al pagamento del canone di abbonamento".
Si tratta del Regio
decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, ancora in
vigore nonostante la veneranda età.
Ma che significa "apparecchi atti o adattabili alla
ricezione"? Ce lo spiega con dovizia di particolari
il Ministero dello sviluppo economico con una lettera
di chiarimenti all'Agenzia delle entrate (notare gli
antichi svolazzi dell'intestazione). Dalla quale si
deduce che il canone non è dovuto per apparecchi che
non sono adattabili alla ricezione, come appunto una
vasca per i pesci rossi.
Questo significa che non deve pagare chi tenga solo,
come soprammobile o vaso per fiori, un vecchio
televisore analogico, senza un decoder per ricevere il
digitale terrestre o il satellite. E' il possesso di uno
di questi apparecchi che costituisce il presupposto
dell'obbligo di pagare il canone.
Resta la curiosità di sapere a chi sia venuta in mente
l'idea di questo spot
demenziale.
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Berlusconi
intervistato da un giornalista? Ma va!
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17.12.12
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Monologo del signore delle televisioni a Canale 5. La
conduttrice di Domenica Live Barbara D'Urso pone
qualche domanda concordata e non serve il fuori-onda per
capirlo. Dal Web si apprende che l'Ordine dei
giornalisti del Lazio "si domanda come mai
l'intervista non sia stata fatta da un giornalista e
chiede che in futuro "non vengano mai più fatte
violazioni del genere"(qui su Repubblica.it). Curioso che
né su sito dell'OdG nazionale né su quello del Lazio
ci sia un comunicato.
Perché, era un'intervista? Ma va!
Il conduttore di un programma di intrattenimento dialoga
con gli ospiti. Normale quindi che la conduttrice della
domenica dialoghi con l'ospite Berlusconi. Se un
giornalista si fosse comportato così, avrebbe fatto una
pessima figura. Senza contare il conflitto di interessi
di un giornalista che intervista il suo editore.
Per domenica prossima ci aspettiamo che l'ospite sia
Pierluigi Bersani, che farà pervenire alla redazione in
tempo utile le domande alle quali risponderà con
divertenti metafore.
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L'assurda
richiesta dell'autorizzazione del provider
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Marco Mattiuzzi - 05.11.12
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Ho letto il suo articolo Problemi per la richiesta al tribunale
in particolare la parte riguardo:
C'è un aspetto più grave. Qualche tribunale chiede di
indicare anche gli estremi del decreto di autorizzazione
del Ministero delle comunicazioni ex DLgs 103/95 per il
provider che ospita la pubblicazione. E' una richiesta
insensata. In primo luogo va osservato che il decreto in
questione è abrogato da un pezzo (ma, secondo recenti
segnalazioni, la polizia postale ancora non lo sa...).
Ora ci sono le autorizzazioni generali, che sono
rilasciate non dal Ministero, ma dall'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni. Per maggiori dettagli si
vedano i numerosi articoli pubblicati nella sezione Il decreto legislativo 103/95 - Le
autorizzazioni generali.
che però differisce da quanto sostenuto in http://www.informagiovani-italia.com/adempimenti_burocratici_giornale_online.htm
riguardo l'*autorizzazione del Ministero delle
Comunicazioni*
"La documentazione necessaria per l'iscrizione è
la seguente: [segue il noto elenco, n.d.r.]
E' necessario indicare il provider che ospita il sito
(è il soggetto da cui compriamo lo spazio web) con
indirizzo completo e numero di autorizzazione del
Ministero delle Comunicazioni. E' opportuno quindi
verificare che la società provider sia autorizzata a
fornire al pubblico il servizio internet".
In pratica, che si fa? cioè a chi dare retta? :-)
Marco Mattiuzzi
ANCORA!!! Da quanti anni andiamo avanti con questa
storia assurda?
La risposta è che si deve dare retta alla legge, la
numero 48 del 1947, che all'art. 5 elenca tassativamente
i documenti da presentare. L'indicazione dello
"stampatore" è prevista dall'art. 2, ma si
tratta appunto di una "indicazione" da
inserire nello stampato. Nessuna norma equipara il
provider allo stampatore. Anche perché la funzione del
provider, per la quale occorre l'autorizzazione,
riguarda la fornitura di servizi di comunicazioni, qual
è l'offerta di accesso alla rete. Il soggetto che mette
a disposizione lo spazio per la pubblicazione di
qualsiasi contenuto non svolge un servizio di
comunicazioni, ma di hosting, per il quale non
occorre alcuna autorizzazione.
Quindi, se proprio si vuole stirare la legge fino a
equiparare un disco rigido a una tipografia, si deve
richiedere di indicare il fornitore di hosting sul
sito del periodico.
Perché sia chiaro: il fornitore di accesso alla rete
può essere equiparato, al limite, al distributore che
manda in giro i furgoni con le copie del giornale. Il
fornitore di hosting nel 1947 non
c'era.
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In Internet
e stampa
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Il Presidente
non è a fuoco. Che televisione è questa?
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13.10.12
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Oggi lo abbiamo visto in tutti i
telegiornali. Nel videomessagio inviato al convegno
della Federazione dei cavalieri del lavoro, il volto del
Presidente della Repubblica era visibilmente sfocato,
mentre apparivano nitidi gli oggetti alle sue spalle.
Una grave sgrammaticatura, molto comune da quando le
telecamere hanno la messa a fuoco automatica e
l'operatore non guarda nel mirino per controllare
l'immagine. Succede in continuazione. Chi ha girato
questo video?
Probabilmente la
Rai, che ha una postazione fissa al Quirinale.
Non ci interessa sapere chi è l'operatore incapace, ma
chi è l'incapace che gli ha assegnato il servizio.
E il TG3 è riuscito a fare anche peggio. Guardate questo fotogramma:
Non sono dettagli tecnici. E' pura assenza di
professionalità. Un sintomo del degrado di quella che,
sul piano tecnico, era una delle migliori televisioni del mondo.
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In Televisione
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Per favore
mettete la data... (documento senza data)
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Cesare Gallotti - 24.09.12
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Una piccola risposta per il post "Per favore, mettete la data (in alto)
sulle pagine web!"
Qualche tempo fa avevo scaricato questo documento della DigitPA che
raccomanda di mettere la data sui documenti. A sua volta, però, il documento
non ha data...
Saluti
Cesare Gallotti
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Per favore,
mettete la data (in alto) sulle pagine web!
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17.09.12
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Sto cercando notizie e approfondimenti sulla questione
del giorno, il ventilato acquisto de La7 da parte di
Mediaset. Frugando tra Google e la mia memoria a caccia
di un'opinione dell'ex-presidente dell'AGCOM Corrado
Calabrò, sono capitato su questa pagina della rivista Millecanali.
Vi si parla della relazione al Parlamento svolta appunto
da Calabrò nell'anno... In che anno? Mistero: la data
sulla pagina non c'è. O non sono capace di trovarla.
Sono molti i siti che riportano informazioni "senza
tempo". Ma ancora di più sono quelli che riportano
da data in fondo alla pagina. Un esempio per tutti: repubblica.it,
che per di più la mette tra parentesi. Come se il
giorno in cui è stato pubblicato un articolo fosse del
tutto irrilevante per chi cerca qualcosa sul sito di un
quotidiano!
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Monti ai
giornalisti: "Diamo il giusto peso alle parole"
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07.09.12
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"Non e' che per caso usate il termine vertice un
po' troppo frequentemente? Se un giorno ho un incontro
con il mio ministro per lo Sviluppo economico voi
pubblicate che si e' tenuto un vertice. Diamo il giusto
peso alle parole". Così parlò Mario Monti il 4
settembre, secondo l'ASCA.
Grazie, presidente. Una tirata d'orecchie così
autorevole ci vorrebbe più spesso (vedi Il
vertice slitta, il
debito si spalma
del
2006).
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In Lingua
lessa e cervello fritto
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Rai, non
paghiamo noi gli stipendi del presidente e del DG?
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25.07.12
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Dunque la Rai ha un nuovo consiglio di amministrazione.
Che si è messo subito al lavoro sui malridotti conti
dell'azienda. Così ha stabilito uno stipendio annuo di
650.000 euro lordi per il direttore generale Luigi
Gubitosi. Poi - la notizia è di oggi - ha deciso di
tagliare lo stipendio della presidente Anna Maria
Tarantola a "soli" 366.000, sempre euro e
sempre lordi (il suo predecessore Paolo Garimberti ne
percepiva 450.000).
Se ben ricordo, il "decreto salva Italia"
poneva un tetto massimo di 294.000 euro l'anno per i
dirigenti pubblici. Tarantola e Gubitosi non sono
dirigenti pubblici? I loro stipendi li paghiamo noi,
almeno noi che paghiamo il canone. Cioè sono soldi
pubblici, tanto che i conti dell'ente sono soggetti alle
norme della contabilità di stato. E allora?
Ci dev'essere un codicillo, da qualche parte...
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Niente di nuovo
sul fronte Rai. Il nuovo CDA è lontano
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27.06.12
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Ho ricevuto diversi messaggi che mi chiedono perché non
commento le ultime vicende del rinnovo del Consiglio di
amministrazione di Viale Mazzini. Rispondo: perché non
c'è niente da commentare. Nulla è cambiato negli
ultimi giorni. La trovata di Bersani (impegnarsi a
sostenere due candidature indicate dalla cosiddetta
"società civile") è stata una mossa per
uscire dal cul de sac in cui si era cacciato
dicendo che il PD non avrebbe partecipato all'elezione
del CDA con le attuali regole. Dimenticando forse che
cambiare queste regole, cioè la Gasparri, non è
questione che si può risolvere da oggi a domani.
I due canditati, come tutti sanno, sono due degne
persone: Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi. Il PdL ha
disertato la riunione della Commissione per bloccarne i
lavori. La data dell'elezione potrebbe essere lontana.
Fine delle notizie.
Facile dietrologia: il signore delle televisioni ha
tutto l'interesse a mantenere il più a lungo possibile
l'attuale assetto del servizio pubblico. Anche per
andare a non impossibili elezioni politiche anticipate
con una Rai ancora sotto il suo controllo.
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Gli editori
scoprono che nuovi lettori li fa la Rete
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23.04.12
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La Federazione italiana editori di giornali (FIEG) ha
pubblicato il rapporto La
stampa in Italia 2009-2011. Dati e cifre che
confermano quello che intuisce chiunque si guardi in
giro, dal bar sotto casa al Web. Cala il numero dei
lettori di giornali di carta, mentre aumenta quello dei
lettori online. Tanto che si prevede il sorpasso nel
corso di quest'anno: più del 50% del pubblico leggerà
i giornali "dematerializzati". Gli alberi
ringraziano.
Per gli editori c'è un problema serio. La crescita
della pubblicità delle edizioni telematiche non
compensa il calo delle inserzioni sul cartaceo. E' per
questo, almeno in parte, che cercano di promuovere
ancora il giornale tradizionale. Sforzi inutili. Il
perché non si trova nelle tabelle del rapporto: mancano
dati su come cambia nel tempo la suddivisione dei
lettori per fasce di età. Se ci fosse, si potrebbe
tradurre in cifre un dato evidente: la carta è per chi
è nato con la carta, cioè i lettori più anziani,
l'online è soprattutto dei giovani.
Il dato importante è che il numero totale dei lettori
è in aumento: il web crea un pubblico nuovo. In altri
termini, i "nati digitali" leggono più dei
"nati analogici". E' da qui che si deve
partire per immaginare i giornali di domani e capire
come farli rendere.
Non è facile prevedere quando i giornali di carta si
ridurranno a tirature così basse da imporre chiusure su
vasta scala. L'agonia sarà lenta. Ma c'è un dato di
fatto, anzi una legge di natura, che indica l'invitabile
conclusione: i lettori online nascono e crescono. I
lettori della carta invecchiano e
muoiono.
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Il crowdsourcing
per uploadare su repubblica.it
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12.04.12
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Niente di grave se il titolo di questo post vi lascia
perplessi o furiosi. A me ha fatto venire la voglia di
rispondere come il Nanni Moretti di Palombella Rossa,
nella celebre scena con la giornalista sul bordo
della piscina. Quando urla "Come parla? Le parole
sono importanti!" con aggiunta di sberle (qui
su YouTube). Ma vediamo i fatti.
Repubblica.it ha lanciato una campagna per arruolare
reporter volontari. Si legge sulla pagina del progetto:
"Repubblica.it vuole scovare, reclutare e formare
il maggior numero di talenti presenti in Italia.
Reporter vede la collaborazione artistica di Paolo
Sorrentino, il pluripremiato regista del Divo e di This
Must Be the Place. Puoi diventare un Reporter e
partecipare ad uno dei tanti ingaggi che verranno
attivati giorno per giorno!".
Può sembrare una buona idea, una cosa seria. Anche perché i
prescelti frequenteranno un corso, dieci lezioni di cui
otto a distanza, per imparare i rudimenti dell'uso
corretto dei
ferri del mestiere. Però qualche dettaglio non convince
del tutto.
Tanto per incominciare, ci sono in giro per l'Italia
tanti reporter free-lance, seri professionisti
sotto-occupati e sottopagati. Perché non rivolgersi a
loro? La risposta è facile: primo, perché non è di moda, non fa web 2.0. Poi
perché i professionisti costano più dei dilettanti (la
qualità dell'informazione è un dettaglio irrilevante).
Ma anche i dilettanti saranno pagati, dice
"Reporter". Quanto? Non si sa.
All'inizio si era capito che ogni video sarebbe stato
compensato con 5 euro. Un equivoco, è stato chiarito in
risposta alle polemiche subito rimbalzate sulla Rete. Ma
non si fanno cifre.
Il problema è che se capita un contenuto di buona
qualità, l'editore se ne riserva tutti i diritti per
cinque anni. A che prezzo? Non se ne parla. Però si deve accettare
il contratto prima di inviare i filmati. Sarò venale, ma prima di
cedere per cinque anni i diritti su un mio lavoro,
voglio sapere qual è il corrispettivo: vedere soldi,
vedere cammello.
Un altro dettaglio, non trascurabile. L'iniziativa
rischia di mandare sotto processo le "antenne sul
territorio" per esercizio abusivo della professione
giornalistica. Non è una battuta: in questi giorni
davanti al Tribunale di Pordenone è imputato il
titolare di una web-tv, Francesco Vanin. Denunciato
perché svolgerebbe "attività giornalistica non
occasionale" senza essere iscritto all'Ordine dei
giornalisti.
Comunque tutto bene, se dall'iniziativa verrà fuori un
nuovo Paolo Sorrentino. O almeno se miglioreranno i
"contributi dal territorio" di infima
qualità, che tutti gli organi di informazione
pubblicano a man salva, senza pudore.
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In Professione
giornalista -
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Apple e i formati
degli e-book
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Franco Tommasi - 10.02.12
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Gentile Dr. Cammarata,
ricevo con piacere da tempo la sua newsletter e, stavolta, la mia attenzione è stata attratta da un articolo il cui contenuto non condivido completamente.
Si tratta di "Formati e-book, Apple aumenta la
confusione".
Stavo per scriverle le mie osservazioni quando mi sono
ricordato di aver scritto qualche tempo fa un articolo che le contiene in gran parte. Perciò glielo segnalo, nel caso avesse il tempo e la voglia di dargli
un'occhiata.
Mi permetta solo di aggiungere che, per carattere, sono diffidente verso tutte le ondate delle mode e detesto chi vi si conforma docilmente. Da persona che usa computer Apple ininterrottamente da 25 anni ho resistito impassibile quando nella mia facoltà tutti mi chiamavano "fissato", "esaltato" ecc ecc, in altri termini quando NON era una moda usarli. Di conseguenza mi sento di ipotizzare, in tutta amicizia e serenità, che lei e coloro che ho citato nell'articolo, siate in errore quando pensate ad Apple esclusivamente in termini di “moda”, ‘snobismo”, “status symbol” e marketing. Questi aspetti possono anche sussistere ma vengono in seconda battuta, dopo che altri elementi più importanti hanno giocato il loro ruolo. I big dell'informatica non li hanno compresi e si affannano a copiare proprio gli aspetti più esteriori, che non sono il fulcro del successo (fallendo perciò miseramente). Se la critica giornalistica comprenderà questi elementi e li illustrerà con chiarezza, aiuterà una vera concorrenza ad affermarsi. E questo di sicuro farà bene a noi e ad
Apple.
Con stima
Un saluto cordiale
Franco Tommasi
P.S. Ovviamente la mia osservazione riguardava solo un aspetto del suo articolo. Quello specifico dei formati andrebbe forse rivisto alla luce
di questo
e forse di questo.
Gli amori non si discutono. I prodotti e le soluzioni
produttive sì. Il punto è che non serve un terzo
formato per l'e-book publishing. I due esistenti (ePub e
MOBI, ora evoluto in KF8) sono già troppi, perché costringono gli
editori a realizzare due diverse versioni dello stesso
libro. Non serve neanche per leggere sugli apparecchi
Apple,
perché ci sono software che consentono di farlo per i
due formati.
Ma l'aspetto più grave è che per realizzare un iBook
si devono usare macchine Apple. Che fanno le stesse cose
delle altre, ma costano molto di più.
Invece un MOBI o un ePub si fa con qualsiasi sistema. E
per vendere un MOBI o un ePub ci sono infiniti canali,
non si deve passare per un negozio esclusivo. Che per di
più si arroga il diritto di decidere se distribuire o
no un'opera.
Un tempo si diceva che l'internet è uno strumento di
"disintermediazione" delle opere dell'ingegno.
L'attuale politica di Apple è la negazione di questo
principio, cioè della natura stessa
dell'internet.
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In ebook e
dintorni
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Il futuro della
Rai: "Ancora qualche settimana..." |
09.01.12 |
"Mi dia ancora qualche settimana e vedrà".
Così ieri sera a Che tempo che fa il presidente
del consiglio Mario Monti, in risposta a una domanda di
Fabio Fazio sul futuro della Rai. Immediata e stizzita
la replica dei corifei del signore delle televisioni:
"Spettano al Parlamento le decisioni sulla Rai, non
al Governo", hanno detto Cicchitto e Gasparri.
Vero. Lo ha sancito la Corte costituzionale nel lontano
1975. Però Gasparri soffre di amnesia, perché proprio
la legge che porta il suo nome ha spostato dal
legislativo all'esecutivo il controllo sostanziale sul
servizio pubblico. In aperta violazione del dettato
della Corte. Se ne deduce che la competenza sulla
televisione pubblica è del Governo solo quando esso è
presieduto dal padrone della televisione privata.
Che cosa farà il presidente Monti? Per ora abbiamo solo
un'affermazione che fa ben sperare: "La Rai è una
forza nel panorama culturale e civile italiano".
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In Televisione
-
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I problemi
dolenti degli e-book |
Salvatore Madrau - 21.12.11 |
Il problema dolente, anzi i problemi circa la diffusione degli ebook reader in Italia sono:
-IVA al 21% contro il 4% dei libri cartacei, è possibile che le lobbies editori -venditori di materiali informatico non riescano a ridurla?
- costo degli ebook di poco inferiore a quello dello stesso titolo in formato cartaceo. Personalmente ho problemi di spazio
per i libri, diciamo da 40 a 50 metri di volumi solo a casa, ma vuoi correre il rischio di vederti cancellato il testo come è
successo in passato per gli acquirenti Amazon - hanno rimborsato il costo ma il problema e che tu non sei possessore (almeno con Amazon) del testo.
- 16.000 titoli, o 12.834. il problema non è il numero ma il fatto che una parte significativa di questi sono volumi - pagati molto cari - di classici della letteratura italiana o non, per i quali sono decaduti i diritti d'autore.
Quale interesse posso avere per possedere in formato digitale I Promessi Sposi, i Malavoglia, Il Conte di Montecristo, ecc. ? Non parliamo poi di alcuni titoli recenti, del tipo l'importanza dell'ebook nell'editoria moderna, come vivere felici ecc., che imperversano sul mercato ebay e non solo.
Se gli editori e i venditori di ebook reader la smetteranno con queste "furbizie" da gatto e la volpe di
collodiana memoria, oltre all'incremento dei testi in formato digitale probabilmente si avrebbe anche un incremento delle vendite
dei libri in formato cartaceo.
Salvatore Madrau
Sono d'accordo con la maggior parte delle sue
osservazioni. Per quanto riguarda l'IVA, evidentemente
gli editori italiani non hanno alcun interesse alla
maggiore diffusione degli e-book, come dimostrano anche
gli alti prezzi di copertina, oltre alla scarsa offerta
di titoli. Credo invece che disponibilità dei classici
a costo zero sia un importante strumento di diffusione
culturale. Infine, il "traino" delle vendite
di libri di carta da parte degli e-book è un dato
acquisito negli USA. Ne parlerò
presto.
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In ebook e
dintorni
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Falsa e
impropria: la santabarbara |
18.12.11 |
"Vero e proprio" è la coppia di aggettivi che
nei notiziari serve a sottolineare affermazioni per lo
più false e improprie. L'esempio più comune è
ritornato puntualmente nei TG di oggi: il resoconto di
un'operazione di polizia che ha portato alla scoperta di
un impressionante deposito di armi e munizioni.
"Una vera e propria santabarbara" è la
descrizione di rigore. Peccato che la santabarbara sia
il deposito di munizioni delle navi da guerra e non
contenga mai armi. La parola corretta in questi casi
sarebbe "arsenale".
E' tollerabile che nel linguaggio comune la parola
"santabarbara" sia usata per descrivere un
deposito di armi e munizioni. Ma in questo caso non può
essere "vera e propria".
Per completezza di informazione: l'espressione deriva da
Santa Barbara, la patrona degli artiglieri e dei vigili
del
fuoco.
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In Lingua lessa e cervello fritto
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Il caos delle
leggi. E della lingua italiana |
(Messaggi firmati) - 13.12.11 |
Per evidenti motivi non pubblico il nome del mittente
dei due messaggi che seguono, ricevuti a un giorno di
distanza l'uno dall'altro. Il caos normativo sulla
registrazione delle testate è immutato da dieci anni.
Invece il caos della lingua italiana peggiora di giorno
in giorno. Credo che per fare un giornale l'ortografia e
l'uso delle parole siano più importanti
dell'interpretazione delle
leggi.
Preg.mo Dott. *Manlio Cammarata*
**
sono un giornalista pubblicista e reporter, vorrei aprire una testata
giornalistica online, ho letto sul sito dell'AGCOM cosi riportato:
**
*Ai sensi dell’art. 5 della legge 8 febbraio 1947, n. 48 “Nessun giornale o
periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la
cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve
effettuarsi”.*
*L’art. 16 della legge 7 marzo 2001, n. 62 prevede che i soggetti obbligati
all’iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione sono esonerati
dall’obbligo di registrare la propria testata in Tribunale. L’iscrizione al
ROC è condizione per l’inizio delle pubblicazioni.*
*Ne consegue, pertanto, che nei casi in cui l’editore sia anche
proprietario della testata può avvalersi della facoltà sopra indicata
procedendo solo alla presentazione della domanda di iscrizione al ROC ed
evitando la registrazione in Tribunale della testata.*
Ora chiedo a lei, è possibile? Ho chiamato è mi hanno detto di si che è
posso registrarmi e avviare l'attività, vado all'Ordine e dicono che devo
registrarmi al Tribunale. Cosa mi cosniglia di fare? Attendo una su gradita
risposta.
-------------
Salve
in riferimento al suo articolo http://www.mcreporter.info/stampa/caos.htm
mi sono informato tramite l'AGCOM e ho parlato con il loro Avvocato, che mi
ha confermato che l'Iscrizione al Tribunale non bisogna farla se il
Rapp.
Legale è anche giornalista, nel caso non lo fosse ne risponde il
Rapp.
Legale. Ora Le chiedo mettiamo il caso che io voglia aprire più di una
testata non lo posso fare con il tribunale, mentre con
l'AGCOM si, quindi
conviene ? Attendo una sua Gradita Risposta |
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La Rai del
magniloquente leccaterga mollicoso |
Claudio Manganelli - 08.12.11 |
Caro Manlio, ti leggo sempre con attenzione e spesso condivido le tue argomentazioni. Che la
Rai abbia bisogno di cambiamenti credo che sia nella testa di molti italiani ancora lucidi di mente. I giovani certamente lo sono per età ma proprio per questo si rifugiano e frequentano altre
medialità.
A mio avviso non basta cambiare lo staff di governo ma bisogna prima decidere se la
Rai di stato deve o no essere un servizio pubblico: se sì almeno due cose dovrebbero essere attuate; liberare anche le testate dalla politica, non si
comprende perché nei telegiornali le stesse notizie di natura economica, o sociale, o politica, debbano essere
distorte a seconda del colore della testata (e poi perché tre testate?); reindirizzare la
Rai verso una profonda azione culturale, venuta quasi totalmente a mancare da quando si é affermata la televisione commerciale. Ritrovare il teatro, la grande musica, la conoscenza dell'innovazione per colmare lo spread digitale.
E' ora di finirla di propinare anche nei telegiornali, prima, durante e dopo, quanto sarà bello o
è o lo è stato un banale spettacolo messo su da Fiorello o da Benigni e ovattare le descrizioni magniloquenti del leccaterga
mollicoso: questa non é cultura e sopratutto non
è servizio pubblico.
Un servizio pubblico deve inoltre essere imparziale e obiettivo in ogni argomento venga trattato, nell'attualità e nella storia di una nazione.
Infine, se servizio pubblico deve essere, allora va bene un canone, ma solo se gli spazi pubblicitari
sono circoscritti in una percentuale di trasmissione molto più contenuta; altrimenti si continui così, con banalità come grandi fratelli, prove del cuoco, giochi vari, insomma poco pane e molti circensi;
ma allora sopprimiamo il canone, lasciamo che la politica si immischi, non ci lamentiamo del popolo bue!
Claudio Manganelli |
In Televisione
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Streaming Rai e
neutralità tecnologica - 3 |
Andrea Gelpi - 26.11.11 |
Fino ad alcuni anni fa lo streaming di RAI utilizzava protocolli
standard che erano utilizzabili da chiunque e da qualsiasi piattaforma.
Poi le cose sono cambiate.
Non mi sento di condividere in toto l'idea che chi usa sistemi
differenti debba saper "smanettare", anche perchè non su tutti i sistemi
si può intervenire.
Ormai chi naviga con strumenti e/o sistemi non Microsoft è una
percentuale significativa del totale e non tutti gli utenti che
utilizzano strumenti "diversi" sanno "smanettare".
Inoltre esistono strumenti sempre più diffusi dove "non si può
"smanettare", nemmeno volendo, a meno di non invalidare licenze e
garanzia. Pensa ai prodotti mobile (iPod, iPhone, iPad) di Apple per
dirne una.
La distribuzione Linux Ubuntu è nata proprio con l'idea di rendere
semplice l'utilizzo del sistema e di evitare che l'utente finale debba
"smanettare" per far funzionare il sistema.
I tempi in cui gli strumenti diversi da Microsoft sono "difficili" e
richiedono saper fare è in realtà verso il tramonto, infatti anche Linux
è ogni giorno più facile da usare.
In conclusione proprio in quanto servizio pubblico ritengo sia compito
di RAI "smanettare" ed indicare chiaramente come fare per visualizzare i
contenuti anche con piattaforme diverse da Microsoft. E' sul sito RAI che vanno messe le istruzioni o per lo meno le
indicazioni per piattaforme Linux e Apple.
E' compito di chi offre un servizio dire come si lo può utilizzare, non
viceversa. Quando compri un qualsiasi apparato ti danno il libretto
delle istruzioni, non è l'utente che va in giro a cercarle.
Rimane in ogni caso il fatto che la scelta fatta da Rai esclude di fatto
una percentuale significativa di utenti, che se non altro per pigrizia,
migreranno verso le altre reti televisive.
Ing. Andrea Gelpi |
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Streaming Rai e
neutralità tecnologica - 2 |
Niccolò Caranti - 20.11.11 |
Devo dire che non ho molto apprezzato i toni della sua
risposta a Paolo Del Romano. Certo, le due spiegazioni da lui immaginate sono abbastanza offensive nei confronti della RAI, ma confesso che quella alternativa da lei esposta mi risulta molto poco convincente. Appare abbastanza naturale pensare che si sia scelto coscientemente di rendere più difficile la visione della Rai con sistemi alternativi. Quali sarebbero i problemi nell'adottare lo stesso sistema di
RaiNews?
Inoltre, c'è secondo me un grosso errore concettuale nella sua risposta. Lei scrive che uno dei motivi che ha portato a scegliere Silverlight è
la sicurezza contro la "disseminazione" dei contenuti (che sono pagati da noi...).
Ma proprio perché pago il canone vorrei poter vedere la Rai con facilità anche se sul mio computer non ho Windows!
Nella sua risposta cita Moonlight, che però come chi ha provato a usarlo ben sa, ha problemi enormi. Fra l'altro va segnalato che una volta era possibile senza troppe complicazioni vedere i principali canali Rai senza usare ne Silverlight ne
Moonlight, ma poi il sistema è stato modificato e non è risultato più possibile. Perché è stato fatto? C'era bisogno di farlo? Qualche riferimento
qua.
Cordiali saluti,
Niccolò Caranti
Aspettiamo una risposta dalla
Rai.
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Streaming Rai e
neutralità tecnologica - 1 |
Paolo Del Romano - 07.11.11 |
Non so se lei sa che la streaming tv della Rai funziona solo con tecnologie chiuse
(Microsoft e Silverlight). Solo i servizi di Rainews non hanno questo problema. Quindi non riesco a vedere tutti i contenuti della webtv della Rai con il mio
Ubuntu.
Faccio notare che mentre gli oligopolisti Rai e Mediaset hanno optato per soluzioni tecniche della webTV che danno questi problemi, tutti gli altri piccoli operatori
(La7, repubblicaTv, Sole24oreTv, CorriereTv) hanno invece
adottato delle soluzioni aperte che non hanno questi problemi.
Qualcuno nei blog dice che c'è la mala fede da parte della
Rai (che ricordiamo essendo un operatore pubblico più degli altri dovrebbe tendere verso soluzioni open e non proprietarie).
Cioè si insinua che i lobbisti della Microsoft sono riusciti a foraggiare le persone giuste della Rai. Qualcun'altro dice che questo è da imputare alla mediocre professionalità dell'operatore radiotelevisivo Rai.
Gradirei che lei scrivesse qualcosa nel suo blog al riguardo.
Paolo del Romano
Ho fatto una piccola indagine riservata e ho concluso
che Silverlight è stato adottato dalla Rai dopo molti
confronti con altre soluzioni. A suo favore hanno
giocato, fra l'altro, la grande flessibilità, la
diffusione e la sicurezza contro la
"disseminazione" dei contenuti (che sono
pagati da noi...).
Chi usa Ubuntu o altre soluzioni Linux sa che spesso
deve "smanettare" un po' per avere la
compatibilità con i sistemi più diffusi. Nel caso di
Silverlight la soluzione per Ubuntu si chiama (guarda un
po') Moonlight.
Le insinuazioni lasciano il tempo che trovano.
Mediocre professionalità? Dal punto di vista tecnico la
Rai è una delle migliori aziende televisive in Europa.
Il Centro ricerche e innovazione tecnologica di Torino
è un polo di eccellenza, al quale si devono molte
innovazioni poi adottate dagli altri operatori.
In tutto questo il problema che lei solleva è reale. La neutralità
tecnologica deve essere la regola per un operatore
pubblico, pagato dai cittadini. Purtroppo non esistono
soluzioni "totali" per ogni problema. Occorre
trovare l'equilibrio tra diverse esigenze, accettando
qualche compromesso. In questo caso è stata penalizzata
una piccola parte degli utenti, che però sono quelli
più abili nel risolvere problemi come questo.
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Dal servizio
pubblico a "Servizio pubblico": Sandro Ruotolo |
31.10.11 |
Ormai è deciso: la trasmissione di Michele Santoro che
esordirà "su tutti gli schermi" da giovedì
prossimo si chiamerà "Servizio pubblico". E
si avvarrà anche del contributo di Sandro Ruotolo, che
raggiunge la squadra degli ex di Annozero dopo aver
concluso il rapporto contrattuale con la Rai.
Il suo video
di saluto riprende il tema caro a Santoro: nostalgia
per la Rai-servizio-pubblico, voglia di ritornare. E
ripropone il problema, sempre più importante, del
futuro del servizio pubblico radiotelevisivo (anzi:
multimediale). Quello che la Rai di oggi svolge su
alcuni canali, come Rai5, ma sembra scomparso dai "generalisti"
e, soprattutto, dall'informazione.
"E' il sogno della mia vita - dice Ruotolo -
lavorare solo per il pubblico, per un vero servizio
pubblico".
Ne riparleremo dopo aver visto la nuova
trasmissione.
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In Televisione
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La follia
tecnologica che ha paralizzato Roma Nord |
27.10.11 |
Lo riportano con grande evidenza tutti gli organi di
informazione: questa mattina il traffico della zona Nord
di Roma è stato paralizzato da una moltitudine che
aspettava l'apertura di un nuovo megastore di prodotti
tecnologici. Che per l'inaugurazione aveva promesso uno
"specialissimo Sottocosto che durerà fino al 5
novembre". Telecamere in azione, domande di rito
agli speranzosi in fila dall'alba e ai fortunati che
uscivano con i sacchetti pieni.
"Sa, con la crisi, è un'occasione da non
sprecare". "Sono riuscito a prendere
l'iPhone4". "La Playstation"...
File dall'alba in tempo di crisi, vetrine infrante. Non
per il pane. Ma per l'iPhone 4, la Playstation, il
televisore al plasma. Non è difficile immaginare che
l'acquirente dell'ultima versione dell'i(nutile)Phone si
sia messo in fila avendo in tasca la penultima. E così
tanti degli altri assaltatori di megastore. Per i quali
l'ultimo giocattolo elettronico è un bene essenziale.
In tempo di crisi e mentre milioni di persone in altre
parti del mondo muoiono di fame.
C'è qualcosa che non funziona in questa parte del
mondo. Rifletta chi continua a ricordare Steve Jobs come
un genio che ha migliorato la nostra
vita. |
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Piergiorgio
Odifreddi: Steve Jobs? Uno stilista |
22.10.11 |
Oggi nel mondo la morte in prima pagina è quella di
Gheddafi. Ha preso il posto di quella di Steve Jobs. Due
situazioni assolutamente diverse, si dirà. Ma hanno in
comune il fatto di essere, appunto, morti da prima
pagina. Questo giustifica un breve passo indietro,
perché in ritardo scopro che anche Piergiorgio
Odifreddi ha commentato la scomparsa del fondatore di
Apple, nel suo blog
su Repubblica.it.
Odifreddi ha scritto più o meno le stesse cose che
abbiamo scritto Andrea Monti e io (vedi L’informatica
non era Jobs e non sarà la Apple e L'ultimo capolavoro mediatico di Steve
Jobs):
"Al di là delle iperboli mediatiche, Jobs è
infatti stato uno stilista, che ha contribuito a
trasformare il computer in un bell’oggetto e un bel
giocattolo, ma niente o poco di più. Una specie di
Benetton, cioè, come quello passato alla storia
per essersi arricchito vendendo magliette colorate, ma
non certo per aver inventato la tessitura o vestito le
genti. In ogni caso, il mercato dei prodotti Apple
è assolutamente minoritario nel mondo
dell’informatica, e i prezzi dei suoi prodotti
contribuiscono a renderlo tale anche in Occidente".
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Se si spegne Wikipedia |
05.10.11 |
Quella di oggi doveva essere una normale giornata di
lavoro. Gli ultimi aggiornamenti a un libro che spero di
pubblicare presto, un pezzo sul disegno di legge sulle
intercettazioni, corrispondenza arretrata da sbrigare.
Tutto con le verifiche e le ricerche di informazioni che
fanno parte della routine.
Ma è stato impossibile. Perché una delle due miei
abituali fonti è fuori servizio: Wikipedia (l'altra è,
naturalmente, Google). Ieri Wikipedia
italiana ha oscurato se stessa per dimostrare che
cosa potrebbe succedere se passassero le norme in
discussione alla Camera sul dovere di rettifica a carico
dei siti Web. Una pagina da leggere fino in fondo. Un
esempio più forte di qualsiasi ragionata protesta.
Non sto qui a ripetere le tante considerazioni che si
trovano in questi giorni in ogni angolo della Rete
(basta il
blog di oggi di Mario Tedeschini Lalli). Sulle norme
in esame ci sarebbero da fare diverse osservazioni
"in diritto", ma è bene aspettare il testo
definitivo.
Post scriptum. Secondo le ultime notizie di
questa sera, la norma sarebbe limitata alle testate
giornalistiche. Per le quali, soggette senza dubbio alle
decrepita legge sulla stampa, non ci sarebbe bisogno di
altre disposizioni.
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Post
precedenti (16 febbraio-31 agosto 2010) |
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