Il Governo ha deciso: non ci sarà il "concorso di bellezza" per assegnare le cinque
nuove frequenze del digitale terrestre. Si farà un'asta
e lo Stato incasserà un po' di euro.
Era inevitabile: in questi tempi di magra un altro
regalo a Mediaset è inconcepibile. Ora che il signore
delle televisioni non è più capo del governo, non può
più fare regali a se stesso, direttamente o facendo
vista di farli al servizio pubblico (ancora controllato
da se medesimo).Tutto a posto? Neanche per sogno. Più si cerca di
capire la questione, più essa appare
ingarbugliata. Un pasticcio infinito che ha origini
lontane, più lontane di quelle sommariamente descritte
qualche mese fa nell'articolo
Frequenze, il pasticcio che fa tremare il Governo.
Ora la situazione potrebbe peggiorare, non solo per
l'imminente asta, ma anche perché presto dovranno
essere liberati i canali dal 61 al 69, da destinare alle
comunicazioni mobili.
Ma perché l'asta delle "nuove" frequenze
dovrebbe peggiorare il quadro? Per il semplicissimo
motivo che molte delle frequenze da assegnare non sono
libere, ma occupate dalla Rai. Due esempi sono il canale
24 in Emilia-Romagna e il 25 nel Lazio. Sono stati
attivati subito dopo i rispettivi switch-off, quando si
è visto che in troppe aree non si vedevano i canali del
servizio pubblico. Errori nella pianificazione? No,
errori nell'assegnazione, come spiega il professor
Antonio Sassano nell'intervista pubblicata qui.
Ora sono molti i teleutenti che ricevono questi
canali sulle frequenze "provvisorie". Che in
seguito all'asta potranno essere assegnati ad altri
operatori, oscurando definitivamente il servizio
pubblico per moltissimi utenti. Quanti? Nessuno lo sa. O
meglio, nessuno lo dice.
Chi volesse capire meglio le questioni tecniche trova
una sintesi in Interferenze
televisive tra geografia e politica, dove si vede
come il problema non sia più tecnico che politico. A
partire dalla metà degli anni '70 del secolo scorso,
con l'avvento dell'emittenza privata, l'etere è stato
oggetto di un'occupazione selvaggia, alla quale i
governi che si sono succeduti per decenni non hanno
saputo o voluto porre rimedio. All'inizio degli anni '80
la situazione era definitivamente compromessa.
La digitalizzazione poteva essere l'occasione per
riordinare il sistema. Ma il Ministero ha assegnato più
frequenze di quelle indicate dai tecnici e i canali
digitali si interferiscono a vicenda tra regioni
confinanti. In questo modo si perpetua una parte del
caos che dura da trent'anni.
Non basta. A tutto questo si aggiungerà la revisione
del Codice delle comunicazioni elettroniche, sulla quale
sta lavorando il Governo, che cambierà i criteri di
utilizzo delle frequenze. Meno televisione e più larga
banda mobile. Cioè meno spazio per le emittenti
televisive. Potrebbe essere l'occasione giusta per
mettere un po' di ordine. Ci sarà la "volontà
politica" di farlo?
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