Prologo
La polizia chiede ad Amazon la registrazione di che cosa è
successo in un’abitazione, in un certo momento, per un’indagine
su un omicidio. La domanda è: perché il più grande sito di
commercio elettronico del mondo dovrebbe avere la
registrazione di quello che è successo in una certa
abitazione (e in milioni di altre abitazioni)?
Risposta: in quella casa c’era un "assistente
domestico", uno di quei "cosi" che la ditta di
Jeff Bezos vende in prima pagina sul suo sito. E che
trasmettono tutto quello che è a portata del loro orecchio
tecnologico.
Un tizio riceve la telefonata di un amico. «Guarda che ho
sentito un vostra conversazione, ieri sera».
«Ma va! Come mai?»
«Non so, l’ha trasmessa il coso… Alexa»
Alexa è l’assistente digitale di Amazon. Il
"coso", appunto, sempre in ascolto, al quale puoi
dare comandi a voce e lui li esegue. Quella sera ha capito che
doveva chiamare l’amico, ma ha capito male…
Google, Apple, Microsoft, Amazon. Tutti vogliono venderti
questi "assistenti intelligenti", che non si fanno i
fatti loro e prendono nota di tutto quello che succede a casa
tua. Mentre l’aspirapolvere-robot, tanto comodo, trasmette a
chi te l’ha venduto la pianta del tuo appartamento.
Quando cerco di spiegarti come sei spiato, e perché, dal
telefonino e da altri cosi "intelligenti", mi
rispondi: «Tanto non ho niente da nascondere».
Non hai niente da nascondere? Allora leggi questo libretto.
E poi ne riparliamo.
1. Tutta la vita in tasca
Una multa da $ 5.000.000.000
Cinque miliardi di dollari. Una cifra che
per noi umani è difficile commisurare.
È la multa "concordata" tra la Federal
Trade Commission (FTC, l’ente
statunitense di protezione dei consumatori)
e Facebook, la rete sociale con due miliardi
e mezzo di abbonati nel mondo. C’è da
riflettere sul fatto che l’azienda non ha
fatto una piega di fronte alla smisurata
batosta e il titolo non ha subito
contraccolpi a Wall Street. Ma è così.
La sanzione è motivata dalla violazione
delle regole sui dati personali che Facebook
ha compiuto "cedendo" le
informazioni su 87 milioni di cittadini
americani alla società britannica Cambridge
Analytica. È accertato che queste
informazioni sono state usate per inviare
notizie fuorvianti a milioni di cittadini
americani, allo scopo di influenzarli nella
scelta di Donald Trump come presidente degli
Stati Uniti.
La stessa Cambridge Analytica ha ammesso di
avere usato le stesse strategie in altri
Paesi, compresa l’Italia. Approfondiremo
questo caso nel secondo capitolo.
La potenza persuasiva delle reti sociali
è tale da porre in una posizione di
vantaggio chiunque sappia servirsene per
influenzare la pubblica opinione. Il
confronto delle idee è squilibrato: da una
parte ci sono milioni di cittadini che hanno
le reti sociali come principale fonte di
informazioni e quindi di orientamento delle
scelte; dall’altra efficienti
organizzazioni che, con sofisticate tecniche
di comunicazione, fabbricano notizie a volte
false e a volte solo tendenziose, per
influenzare i comportamenti e le scelte
delle persone. In sostanza per limitarne la
libertà.
Come è possibile che tutto questo
accada? Abbiamo mezzi per difenderci? Sono
gli interrogativi ai quali cerchiamo le
risposte in questo piccolo libro.
Dal telefono al furbofono
Negli ultimi quarant’anni le tecnologie
hanno cambiato il modo di vivere degli
umani. Negli anni ’80 del secolo scorso il
telefax ha favorito lo sviluppo di quello
che si chiamava "terziario
avanzato", insieme al personal
computer. Negli anni ’90 il telefono
cellulare ha prodotto il mutamento più
profondo: la possibilità di comunicare con
altri in qualsiasi punto ci troviamo. Prima
dovevamo essere a casa o in ufficio. Oppure
era necessario trovare una cabina
telefonica, ma le cabine non erano dovunque.
Spesso eravamo isolati. Ancora negli anni
’90 è iniziato lo sviluppo dell’internet.
Il "telefonino" ci ha consentito
di restare sempre in contatto con le persone
con le quali vogliamo o dobbiamo comunicare.
La sua evoluzione si è compiuta in
principio su una strada parallela a quella
dell’internet, poi le due tecnologie si
sono incontrate e oggi il telefono mobile è
un computer a tutti gli effetti, sempre
connesso alla rete globale.
La prima fase dell’evoluzione del
telefonino ha portato ai
"palmari", apparecchi più grandi
dei primi cellulari, ma ancora tascabili,
capaci di diverse altre funzioni oltre a
quella dalla telefonia.
I palmari sono stati presto sostituiti dagli
attuali smartphone, dotati di
connessione all’internet e quindi in grado
di compiere qualsiasi attività online,
dalla frequentazione delle reti sociali agli
acquisti, alle operazioni bancarie, alle
mille incombenze affidate alle app,
come il banale pagamento della sosta delle
automobili nei parcheggi cittadini.
Un ulteriore sviluppo tecnologico è l’ibridazione
del telefono con il personal computer
portatile, che ha generato il tablet.
Così l’uso delle tecnologie "in
mobilità" è possibile a 360 gradi e
chiunque può restare connesso alle reti di
telecomunicazioni ventiquattr’ore su
ventiquattro, sette giorni su sette.
Oggi telefonare è solo una delle
funzioni dell’apparecchio mobile. Per
molte persone neanche la più importante. Il
telefono è diventato
"intelligente", secondo la
descrizione che ne dà l’industria delle
tecnologie, che lo chiama smartphone.
Cioè, secondo una traduzione più precisa
del termine inglese smart,
"telefono furbo".
Dunque la traduzione in "furbòfono"
non è una metafora o una forzatura. È
letterale. E ha il vantaggio, come vedremo
in questo libretto, di rendere meglio l’idea
della vera natura dell’apparecchio che
condiziona la vita di miliardi di persone.
Ma l’evoluzione del furbofono è ben
lontana dall’essere compiuta. È difficile
prevedere, al di là dei ricorrenti annunci
di sviluppi mirabolanti, quale sarà la sua
prossima incarnazione. Preoccupa, e non
poco, la ricorrente profezia che sia
destinato a scomparire, sostituito da un
circuito elettronico innestato direttamente
nel nostro cervello.
La diffusione del furbofono non conosce
confini né divisioni sociali o economiche.
Se ne servono tutti, dal ricco uomo d’affari
al politico, all’impiegato, al migrante
che lo usa come unico contatto col suo mondo
lontano.
C’è un solo limite: le reti di telefonia
cellulare sono presenti solo nelle aree
urbanizzate o lungo le grandi strade di
comunicazione. Altrove è necessario
servirsi delle reti satellitari, che coprono
quasi ogni angolo della Terra, negli spazi
aperti.
Ma il satellitare non è smart. Anche
se il prezzo degli apparecchi è sceso in
misura sensibile, il costo delle connessioni
lo rende conveniente solo quando è
indispensabile comunicare da aree isolate,
dove la rete cellulare non c’è: il
deserto, il mare, le montagne lontane dai
centri abitati. Dunque, almeno per il
momento, non si usa per chattare sui
social o per il banking on line.
La "dipendenza"
dal furbofono
Nei primi anni dell’internet di massa c’era
un grande allarme per i ragazzi che
passavano troppe ore al giorno davanti al
computer. Si mobilitavano psicologi ed
educatori. La chiamavano Internet
Addiction, cioè "dipendenza dall’internet".
Oggi è nelle stesse condizioni una buona
parte delle persone che vivono nei paesi
industrializzati. Ma la cosa viene
considerata normale.
Basta guardarsi intorno in qualsiasi luogo
pubblico per vedere persone concentrate sul
piccolo schermo. Persone che appaiono
completamente isolate dal resto del mondo.
Nelle sale di attesa spesso più della metà
dei presenti ha in mano il furbofono. Lo
stesso accade sul treno. Un tempo il viaggio
in ferrovia era l’occasione per scambiare
almeno qualche parola con i compagni di
viaggio, se non per attaccare lunghi
discorsi e conoscere qualcuno. Oggi la
maggior parte dei viaggiatori dialoga solo
col proprio apparecchio. I più col
telefonino, alcuni lavorano o guardano film
sul computer portatile.
Anche i rapporti tra persone che si
conoscono sono sempre più spesso alterati
dalla presenza di un apparecchio portatile.
C’è chi non riesce a stare più di cinque
minuti senza dare almeno un’occhiata allo
schermo o a controllare se ci sono novità
sulle reti sociali alle quali è iscritto.
Stai parlando con un amico. All’improvviso,
senza un motivo apparente, lui prende il
telefonino e incomincia a leggere qualcosa.
O anche a scrivere. Interrompi il discorso,
ammutolisci. Passano alcuni secondi. «Sì,
sì, di’ pure, ti ascolto», fa lui. E
spesso aggiunge «io sono multitasking».
Ma è chiaro che non ti ascolta affatto e
devi aspettare che lui finisca di
palpeggiare lo schermo per riprendere la
conversazione. Fino alla prossima
interruzione.
Qualcuno non resiste neanche in camera da
letto, con l’ovvia conseguenza di rovinare
il rapporto di coppia. Ma sembra che, anche
nelle occasioni meno opportune, come una
riunione di lavoro o una cena tra amici,
siano tanti quelli che trovano la
consultazione del telefonino più importante
delle relazioni personali. Che così si
sfaldano, si perdono, sostituite dalle finte
amicizie social. Nelle quali non c’è
nulla dell’idea tradizionale di
"amicizia": la maggior parte degli
"amici" sono perfetti sconosciuti.
Ma l’importante è averne tanti,
centinaia, migliaia.
Naturalmente legioni di studiosi
analizzano il fenomeno e ne traggono analisi
dettagliate quanto scoraggianti. È definito
phubbing l’atteggiamento compulsivo
che porta una persona a trascurare l’interlocutore
per volgere continuamente l’attenzione al
telefonino, con la conseguenza del
progressivo deterioramento dei rapporti
interpersonali. Spesso va a finire che la
"vittima" del phubbing
prende a sua volta il proprio apparecchio:
così la conversazione muore.
Dai rapporti personali ai rapporti sociali
il discorso non cambia. Comunicare con gli
altri attraverso i social sostituisce
sempre più spesso la riunione al bar o la
serata al ristorante. Invitare a cena in
casa un gruppetto di amici può rivelarsi un’esperienza
amara. Pare che nessuno abbia più tempo
(viene il sospetto che si debba recuperare
di sera il tempo speso di giorno a chattare).
Poi, quando si riesce a mettere insieme
quella che una volta era una bella
compagnia, gli amici arrivano col furbofono
in mano e passano metà del tempo a
pasticciare sullo schermino.
Dopo cena qualcuno tira fuori il tablet.
Allora la conversazione volge a qualcosa che
uno dei presenti vede o legge in quel
momento e si arriva al paradosso del «te lo
mando per email» (o, più spesso, via WhatsApp)
all’amico che si trova a un metro di
distanza.
Ci sono troppe persone che dipendono
dalla loro appendice mobile. Se ne servono
non solo per comunicare con gli altri, ma
per leggere le ultime notizie, le previsioni
del tempo, le quotazioni di borsa, ascoltare
musica, guardare tutto quello che una volta
si chiamava "televisione". E
"tappare" (cioè picchiare col
dito) sul "mi piace" che
accompagna ogni brandello di informazione.
C’è qualcuno che è capace di vedere un
intero film sullo schermo di pochi
centimetri quadrati. Quest’ultimo è un
segnale chiaro di come il furbofono abbia
cambiato il modo stesso di accostarsi anche
ai contenuti di tipo emotivo: andare al
cinema era una specie di rituale, che si
compiva per lo più in compagnia, e la
visione del film sul grande schermo avveniva
in un contesto immersivo, nella sala buia
che era qualcosa di "altro"
rispetto al mondo di tutti i giorni.
La visione di un film sul furbofono è
diventata un fatto del tutto individuale. Si
è persa la dimensione sociale dell’andare
al cinema. Senza contare – ma è un altro
discorso – gli effetti della diversa
percezione delle immagini tra il grande e il
minuscolo schermo.
Tutto quello che passa sullo schermino può
essere "condiviso". L’invito
alla condivisione è irresistibile. Si deve
condividere ciò che piace, ma anche ciò
che non piace, per mettere in comune anche
la disapprovazione o il disgusto.
"Condivido, dunque sono" è la
formula dell’esistenza nella società del social.
Le conseguenze negative dell’uso
costante delle reti sociali non si limitano
ai rapporti interpersonali. Ci si abitua a
una comunicazione fatta di periodi monchi,
di ragionamenti privi di sfumature o
approfondimenti. Si comunica con frasi
fatte, con formule standard. L’invettiva e
l’insulto sostituiscono la critica. Lo
slogan a effetto si sovrappone al tentativo
di ragionamento. La discussione è fatta di
schemi elementari contrapposti, senza alcun
tentativo di trovare una sintesi. Tutto è
bianco o nero, non ci sono più le sfumature
dei grigi.
Lo specchio di Narciso
Uno degli usi più comuni del furbofono
è la ripresa di immagini, fisse o in
movimento (non uso a ragion veduta le parole
"fotografia" e "video",
perché i risultati di queste registrazioni
ottiche possono essere considerati immagini
o filmati leggibili solo in rarissimi casi,
anche per ragioni tecniche). (CONTINUA...)
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