IL FURBÒFONO 
 

I Capitoli

Prologo
1. Tutta la vita in tasca
2. Chi ci spia, come e perché
3. Sulle tracce del cittadino digitale
4. Le leggi ci difendono?
5. Come ci spia il personal computer
6. Scaricalàpp! (l’abracadabra del furbofono)
7. Il ricatto digitale e la privacy impossibile
8. Piccolo manuale di autodifesa
9. Conclusione
Glossario

Il Comma 22
della protezione dei dati

«Chi vuole proteggere i propri dati, cancella i cookie. Chi cancella i cookie non protegge i propri dati»

(dal capitolo 5)

 

Le prime pagine del libro

Prologo

La polizia chiede ad Amazon la registrazione di che cosa è successo in un’abitazione, in un certo momento, per un’indagine su un omicidio. La domanda è: perché il più grande sito di commercio elettronico del mondo dovrebbe avere la registrazione di quello che è successo in una certa abitazione (e in milioni di altre abitazioni)?
Risposta: in quella casa c’era un "assistente domestico", uno di quei "cosi" che la ditta di Jeff Bezos vende in prima pagina sul suo sito. E che trasmettono tutto quello che è a portata del loro orecchio tecnologico.

Un tizio riceve la telefonata di un amico. «Guarda che ho sentito un vostra conversazione, ieri sera».
«Ma va! Come mai?»
«Non so, l’ha trasmessa il coso… Alexa»
Alexa è l’assistente digitale di Amazon. Il "coso", appunto, sempre in ascolto, al quale puoi dare comandi a voce e lui li esegue. Quella sera ha capito che doveva chiamare l’amico, ma ha capito male…

Google, Apple, Microsoft, Amazon. Tutti vogliono venderti questi "assistenti intelligenti", che non si fanno i fatti loro e prendono nota di tutto quello che succede a casa tua. Mentre l’aspirapolvere-robot, tanto comodo, trasmette a chi te l’ha venduto la pianta del tuo appartamento.

Quando cerco di spiegarti come sei spiato, e perché, dal telefonino e da altri cosi "intelligenti", mi rispondi: «Tanto non ho niente da nascondere».
Non hai niente da nascondere? Allora leggi questo libretto. E poi ne riparliamo.

1. Tutta la vita in tasca

Una multa da $ 5.000.000.000

Cinque miliardi di dollari. Una cifra che per noi umani è difficile commisurare.
È la multa "concordata" tra la Federal Trade Commission (FTC, l’ente statunitense di protezione dei consumatori) e Facebook, la rete sociale con due miliardi e mezzo di abbonati nel mondo. C’è da riflettere sul fatto che l’azienda non ha fatto una piega di fronte alla smisurata batosta e il titolo non ha subito contraccolpi a Wall Street. Ma è così.
La sanzione è motivata dalla violazione delle regole sui dati personali che Facebook ha compiuto "cedendo" le informazioni su 87 milioni di cittadini americani alla società britannica Cambridge Analytica. È accertato che queste informazioni sono state usate per inviare notizie fuorvianti a milioni di cittadini americani, allo scopo di influenzarli nella scelta di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti.
La stessa Cambridge Analytica ha ammesso di avere usato le stesse strategie in altri Paesi, compresa l’Italia. Approfondiremo questo caso nel secondo capitolo.

La potenza persuasiva delle reti sociali è tale da porre in una posizione di vantaggio chiunque sappia servirsene per influenzare la pubblica opinione. Il confronto delle idee è squilibrato: da una parte ci sono milioni di cittadini che hanno le reti sociali come principale fonte di informazioni e quindi di orientamento delle scelte; dall’altra efficienti organizzazioni che, con sofisticate tecniche di comunicazione, fabbricano notizie a volte false e a volte solo tendenziose, per influenzare i comportamenti e le scelte delle persone. In sostanza per limitarne la libertà.

Come è possibile che tutto questo accada? Abbiamo mezzi per difenderci? Sono gli interrogativi ai quali cerchiamo le risposte in questo piccolo libro.

Dal telefono al furbofono

Negli ultimi quarant’anni le tecnologie hanno cambiato il modo di vivere degli umani. Negli anni ’80 del secolo scorso il telefax ha favorito lo sviluppo di quello che si chiamava "terziario avanzato", insieme al personal computer. Negli anni ’90 il telefono cellulare ha prodotto il mutamento più profondo: la possibilità di comunicare con altri in qualsiasi punto ci troviamo. Prima dovevamo essere a casa o in ufficio. Oppure era necessario trovare una cabina telefonica, ma le cabine non erano dovunque. Spesso eravamo isolati. Ancora negli anni ’90 è iniziato lo sviluppo dell’internet.
Il "telefonino" ci ha consentito di restare sempre in contatto con le persone con le quali vogliamo o dobbiamo comunicare. La sua evoluzione si è compiuta in principio su una strada parallela a quella dell’internet, poi le due tecnologie si sono incontrate e oggi il telefono mobile è un computer a tutti gli effetti, sempre connesso alla rete globale.

La prima fase dell’evoluzione del telefonino ha portato ai "palmari", apparecchi più grandi dei primi cellulari, ma ancora tascabili, capaci di diverse altre funzioni oltre a quella dalla telefonia.
I palmari sono stati presto sostituiti dagli attuali smartphone, dotati di connessione all’internet e quindi in grado di compiere qualsiasi attività online, dalla frequentazione delle reti sociali agli acquisti, alle operazioni bancarie, alle mille incombenze affidate alle app, come il banale pagamento della sosta delle automobili nei parcheggi cittadini.
Un ulteriore sviluppo tecnologico è l’ibridazione del telefono con il personal computer portatile, che ha generato il tablet. Così l’uso delle tecnologie "in mobilità" è possibile a 360 gradi e chiunque può restare connesso alle reti di telecomunicazioni ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette.

Oggi telefonare è solo una delle funzioni dell’apparecchio mobile. Per molte persone neanche la più importante. Il telefono è diventato "intelligente", secondo la descrizione che ne dà l’industria delle tecnologie, che lo chiama smartphone. Cioè, secondo una traduzione più precisa del termine inglese smart, "telefono furbo".
Dunque la traduzione in "furbòfono" non è una metafora o una forzatura. È letterale. E ha il vantaggio, come vedremo in questo libretto, di rendere meglio l’idea della vera natura dell’apparecchio che condiziona la vita di miliardi di persone.
Ma l’evoluzione del furbofono è ben lontana dall’essere compiuta. È difficile prevedere, al di là dei ricorrenti annunci di sviluppi mirabolanti, quale sarà la sua prossima incarnazione. Preoccupa, e non poco, la ricorrente profezia che sia destinato a scomparire, sostituito da un circuito elettronico innestato direttamente nel nostro cervello.

La diffusione del furbofono non conosce confini né divisioni sociali o economiche. Se ne servono tutti, dal ricco uomo d’affari al politico, all’impiegato, al migrante che lo usa come unico contatto col suo mondo lontano.
C’è un solo limite: le reti di telefonia cellulare sono presenti solo nelle aree urbanizzate o lungo le grandi strade di comunicazione. Altrove è necessario servirsi delle reti satellitari, che coprono quasi ogni angolo della Terra, negli spazi aperti.
Ma il satellitare non è smart. Anche se il prezzo degli apparecchi è sceso in misura sensibile, il costo delle connessioni lo rende conveniente solo quando è indispensabile comunicare da aree isolate, dove la rete cellulare non c’è: il deserto, il mare, le montagne lontane dai centri abitati. Dunque, almeno per il momento, non si usa per chattare sui social o per il banking on line.

La "dipendenza" dal furbofono

Nei primi anni dell’internet di massa c’era un grande allarme per i ragazzi che passavano troppe ore al giorno davanti al computer. Si mobilitavano psicologi ed educatori. La chiamavano Internet Addiction, cioè "dipendenza dall’internet". Oggi è nelle stesse condizioni una buona parte delle persone che vivono nei paesi industrializzati. Ma la cosa viene considerata normale.
Basta guardarsi intorno in qualsiasi luogo pubblico per vedere persone concentrate sul piccolo schermo. Persone che appaiono completamente isolate dal resto del mondo. Nelle sale di attesa spesso più della metà dei presenti ha in mano il furbofono. Lo stesso accade sul treno. Un tempo il viaggio in ferrovia era l’occasione per scambiare almeno qualche parola con i compagni di viaggio, se non per attaccare lunghi discorsi e conoscere qualcuno. Oggi la maggior parte dei viaggiatori dialoga solo col proprio apparecchio. I più col telefonino, alcuni lavorano o guardano film sul computer portatile.

Anche i rapporti tra persone che si conoscono sono sempre più spesso alterati dalla presenza di un apparecchio portatile. C’è chi non riesce a stare più di cinque minuti senza dare almeno un’occhiata allo schermo o a controllare se ci sono novità sulle reti sociali alle quali è iscritto.
Stai parlando con un amico. All’improvviso, senza un motivo apparente, lui prende il telefonino e incomincia a leggere qualcosa. O anche a scrivere. Interrompi il discorso, ammutolisci. Passano alcuni secondi. «Sì, sì, di’ pure, ti ascolto», fa lui. E spesso aggiunge «io sono multitasking». Ma è chiaro che non ti ascolta affatto e devi aspettare che lui finisca di palpeggiare lo schermo per riprendere la conversazione. Fino alla prossima interruzione.

Qualcuno non resiste neanche in camera da letto, con l’ovvia conseguenza di rovinare il rapporto di coppia. Ma sembra che, anche nelle occasioni meno opportune, come una riunione di lavoro o una cena tra amici, siano tanti quelli che trovano la consultazione del telefonino più importante delle relazioni personali. Che così si sfaldano, si perdono, sostituite dalle finte amicizie social. Nelle quali non c’è nulla dell’idea tradizionale di "amicizia": la maggior parte degli "amici" sono perfetti sconosciuti. Ma l’importante è averne tanti, centinaia, migliaia.

Naturalmente legioni di studiosi analizzano il fenomeno e ne traggono analisi dettagliate quanto scoraggianti. È definito phubbing l’atteggiamento compulsivo che porta una persona a trascurare l’interlocutore per volgere continuamente l’attenzione al telefonino, con la conseguenza del progressivo deterioramento dei rapporti interpersonali. Spesso va a finire che la "vittima" del phubbing prende a sua volta il proprio apparecchio: così la conversazione muore.
Dai rapporti personali ai rapporti sociali il discorso non cambia. Comunicare con gli altri attraverso i social sostituisce sempre più spesso la riunione al bar o la serata al ristorante. Invitare a cena in casa un gruppetto di amici può rivelarsi un’esperienza amara. Pare che nessuno abbia più tempo (viene il sospetto che si debba recuperare di sera il tempo speso di giorno a chattare). Poi, quando si riesce a mettere insieme quella che una volta era una bella compagnia, gli amici arrivano col furbofono in mano e passano metà del tempo a pasticciare sullo schermino.
Dopo cena qualcuno tira fuori il tablet. Allora la conversazione volge a qualcosa che uno dei presenti vede o legge in quel momento e si arriva al paradosso del «te lo mando per email» (o, più spesso, via WhatsApp) all’amico che si trova a un metro di distanza.

Ci sono troppe persone che dipendono dalla loro appendice mobile. Se ne servono non solo per comunicare con gli altri, ma per leggere le ultime notizie, le previsioni del tempo, le quotazioni di borsa, ascoltare musica, guardare tutto quello che una volta si chiamava "televisione". E "tappare" (cioè picchiare col dito) sul "mi piace" che accompagna ogni brandello di informazione.
C’è qualcuno che è capace di vedere un intero film sullo schermo di pochi centimetri quadrati. Quest’ultimo è un segnale chiaro di come il furbofono abbia cambiato il modo stesso di accostarsi anche ai contenuti di tipo emotivo: andare al cinema era una specie di rituale, che si compiva per lo più in compagnia, e la visione del film sul grande schermo avveniva in un contesto immersivo, nella sala buia che era qualcosa di "altro" rispetto al mondo di tutti i giorni.
La visione di un film sul furbofono è diventata un fatto del tutto individuale. Si è persa la dimensione sociale dell’andare al cinema. Senza contare – ma è un altro discorso – gli effetti della diversa percezione delle immagini tra il grande e il minuscolo schermo.
Tutto quello che passa sullo schermino può essere "condiviso". L’invito alla condivisione è irresistibile. Si deve condividere ciò che piace, ma anche ciò che non piace, per mettere in comune anche la disapprovazione o il disgusto. "Condivido, dunque sono" è la formula dell’esistenza nella società del social.

Le conseguenze negative dell’uso costante delle reti sociali non si limitano ai rapporti interpersonali. Ci si abitua a una comunicazione fatta di periodi monchi, di ragionamenti privi di sfumature o approfondimenti. Si comunica con frasi fatte, con formule standard. L’invettiva e l’insulto sostituiscono la critica. Lo slogan a effetto si sovrappone al tentativo di ragionamento. La discussione è fatta di schemi elementari contrapposti, senza alcun tentativo di trovare una sintesi. Tutto è bianco o nero, non ci sono più le sfumature dei grigi.

Lo specchio di Narciso

Uno degli usi più comuni del furbofono è la ripresa di immagini, fisse o in movimento (non uso a ragion veduta le parole "fotografia" e "video", perché i risultati di queste registrazioni ottiche possono essere considerati immagini o filmati leggibili solo in rarissimi casi, anche per ragioni tecniche). (CONTINUA...)

 
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