Non è Casablanca,
colonnello Rey
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Libia 2015
L'agente senza pistola
tra i tagliagole dell'ISIS
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La terza storia dell'agente senza pistola
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Non è Casablanca, è Tripoli, colonnello Rey. E' la Libia dei nostri giorni, dove gli jihadisti fanno prove generali di terrorismo elettronico. Aerei in volo che perdono all'improvviso i contatti radio, telefoni e computer che smettono di funzionare. Una catastrofe sfiorata. L'Italia è il Paese più esposto agli attacchi e il capo del
Governo è all'estero. Il Presidente della Repubblica prende in mano la situazione, tra le esitazioni e i cavilli delle
gerarchie politiche e militari.
Ma lei dov'è, Carlo Alberto Rey? Il terrorismo elettronico è pane per i suoi denti. Ma è scomparso da più di un anno, non è più il tenente colonnello
Rey, agente del controspionaggio. Ha dato le dimissioni e se n'è andato sbattendo la porta.
La ritroviamo in Libia, prigioniero dei miliziani islamisti e vestito della tuta arancione dei condannati a morte. Si salverà e sventerà la minaccia terrorista, scambiando messaggi in codice con le battute del vecchio film "Casablanca", che faranno impazzire anche i servizi di intelligence americani.
Dovrà superare altre prove, colonnello: attraversare a piedi chilometri di deserto, fuggire in motocicletta tra le raffiche dei
Kalashnikov, beccarsi una pallottola che potrebbe spedirla all'altro mondo.
Ma al largo della Libia incrociano le navi militari italiane. E gli incursori della Marina sbarcano invisibili nel silenzio della notte africana.
Ma è solo
un'invenzione letteraria? (Andrea Monti)
Capire la complessa situazione geopolitica del Medio
Oriente - e della Libia in particolare - è difficile
anche per gli addetti ai lavori. Scrivere una spystory
coinvolgente è "mestiere" per inglesi e
americani. Miscelare i due elementi in un romanzo
amalgamandoli perfettamente - e per di più in modo
originale - è praticamente impossibile... tranne che per
Manlio Cammarata. "Non è Casablanca,
colonnello Rey" è un libro che, al pari de "Il
nome della rosa", può essere letto a più livelli:
è una storia incalzante e realistica, è un saggio di
antropologia oppure è una lucida analisi di quello che
sta accadendo – ora – in una Libia che, per molte
ragioni, è straordinariamente più vicina di quello che
sembra e che non possiamo permetterci di ignorare. La
scrittura veloce del giornalista, l'italiano corretto fino
alla pedanteria e il rigore nei dettagli dell'azione, per
la terza volta lasciano il dubbio che questa non sia solo
un'invenzione letteraria.
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