I professionisti hanno l'obbligo di stipulare
un'assicurazione per i danni che possono causare ai loro
clienti. Lo stabilisce il DPR 7
agosto 2012, n. 137, "Regolamento recante riforma degli ordinamenti
professionali".
Ora la domanda è: l'obbligo riguarda anche i giornalisti?
Nel decreto varato dal Governo lo scorso 3 agosto la
professione giornalistica non è citata. Ci
sono disposizioni generali che riguardano tutte le
professioni e norme speciali per avvocati e
notai. Nulla per i giornalisti. Una lacuna a prima vista
incomprensibile, se si considera che questa professione presenta alcuni aspetti
specifici che la rendono differente da tutte le altre.
Il più evidente di questi aspetti è che oggi buona
parte dell'informazione è prodotta da persone non
iscritte negli albi professionali, con buona pace dell'art. 45 della legge
69 del 1963, istitutiva dell'Ordine:
Nessuno può assumere il titolo né esercitare
la professione di giornalista, se non è iscritto nell'albo
professionale. La violazione di tale disposizione è
punita a norma degli artt. 348 e 498 del cod. pen., ove il
fatto non costituisca un reato più grave.
La parola "giornalisti" non è presente
neanche nella relazione illustrativa sul decreto. Forse si teme che a
Bruxelles qualcuno apra gli occhi di fronte all'anomalia
della situazione in Italia. O forse, più semplicemente,
ci si vergogna di mantenere in vita buona parte
delle regole dettate nel ventennio fascista (vedi Da Mussolini alla democrazia è
cambiato qualcosa?).
Ma nel DPR diversi punti riguardano anche la nostra
professione: formazione, tirocinio, procedimenti
disciplinari (vedi "RIFORMA" DELLE PROFESSIONI: il
DPR e i giornalisti sul sito dell'OdG). Nessuno di
questi incide sostanzialmente sulla struttura dell'Ordine.
C'è però un articolo che merita un approfondimento: è l'art. 5,
"obbligo di assicurazione", nel quale si legge:
Il professionista è tenuto a
stipulare, anche per il tramite di convenzioni
collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli
enti previdenziali dei professionisti, idonea
assicurazione per i danni derivanti al cliente
dall'esercizio dell'attività professionale...
L'Ordine precisa che "la norma non si applica ai
giornalisti" e cita anche il "confronto che il
vertice dell'Odg aveva avuto con il ministro Paola
Severino e con il suo staff, il 18 maggio 2012". In punto di diritto l'affermazione non
è fondata: se la professione giornalistica è compresa
tra quelle "riformate" dal DPR, e se non c'è
un'eccezione esplicita, la norma si applica. Di fronte a
un testo di legge i "confronti" con i ministri
lasciano il tempo che trovano. Alla fine dei conti siamo
di fronte al
solito pasticcio normativo all'italiana. Infatti nella relazione
illustrativa si legge:
...il rischio da coprire con l’assicurazione
obbligatoria prevista dalla norma primaria di
delegificazione è quello relativo ai danni derivanti al
“cliente”, con ciò facendo riferimento alla
instaurazione di un rapporto di clientela, nel senso
tradizionale della prestazione di un servizio
professionale diretto al cliente che lo commette. Ne
deriva la necessità di non introdurre alcuna eccezione
all’obbligo assicurativo previsto dalla norma primaria,
lasciando all’interprete di valutare quando vi sia o no
un rapporto di clientela, tale da imporre l’obbligo di
assicurazione. Più in generale, la specificazione dell’oggetto
dell’assicurazione, riferito alla copertura per i danni
derivanti al cliente, consente di escludere, con
riferimento alle diverse modalità di configurazione del
rapporto professionista-cliente, che l’obbligo in
questione possa riguardare il professionista che operi
nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente.
Si può discutere se sia opportuna la mancanza di un'eccezione
esplicita
(la relazione introduttiva non ha forza di legge). Il
problema è che l'eccezione implicita, secondo la
relazione, si applica solo "nell'ambito di un lavoro
dipendente".
E allora, come la mettiamo con i pubblicisti? Devono
stipulare un'assicurazione per i danni derivanti al
cliente (cioè l'editore) dall'esercizio dell'attività
professionale? E con le migliaia di precari, di
(giornalisti) tra parentesi, quelli cioè che non sono
neanche pubblicisti, che guadagnano cifre miserabili e che ogni giorno rischiano un
processo per esercizio abusivo della professione?
Ancora una volta emerge l'anomalia italiana costituita
dall'esistenza di un ordine professionale come il nostro.
Un corpo estraneo in una società democratica. E non
aggiungo altro, perché sull'argomento ho già scritto
troppo (vedi, fra l'altro, La non-riforma e le illusioni dei
pubblicisti, La proposta
dell'Ordine: abolire Giovanni Tizian, Riformare
la professione, abolire l'albo "immorale").
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