Siamo alle solite. C'è
un indagato eccellente (questa volta tocca al ministro
Scajola), ci sono i giornali che riportano la notizia e
raccontano l'inchiesta della magistratura. Indignata, la
casta politica stigmatizza non il presunto reato, ma il
"processo mediatico". Già, perché tra un
politico sospettato di rubare (presunto innocente fino
alla sentenza definitiva) e un giornalista che racconta
i fatti, quest'ultimo è "presunto colpevole",
anche senza processo.
Questa volta i giornali non riportano i testi delle
intercettazioni, ma il contenuto degli atti
dell'inchiesta. La sostanza non cambia: il Palazzo vuole
vietare che i cittadini abbiano notizia delle malefatte
di cui sono accusati i governanti. Ed ecco che al Senato
riprende la discussione di un disegno di legge dell'anno
scorso, già approvato dalla Camera, ma poi
opportunamente lasciato in un cassetto.
Si tratta del DDL
S.1611 - qui l'iter parlamentare - che
colpisce su due fronti:
la magistratura, con pesanti limiti alle possibilità di
intercettare, e l'informazione, con il divieto di
pubblicare atti delle inchieste.
Magistrati e giornalisti sono sul piede di guerra, con molte
buone ragioni. Sul piano delle indagini, limitare le
intercettazioni significa semplicemente legare le mani
ai pubblici ministeri, che avranno minori possibilità
di scoprire e provare i reati. Sul piano
dell'informazione, si cancella il "diritto di
sapere" dei cittadini. Con una legge come quella in
discussione nessuno avrebbe saputo, solo per fare
qualche esempio,
l'esistenza di inchieste come Parmalat e Cirio, per non parlare di Tangentopoli.
Ma la nuova legge, se passerà, non è destinata a
durare. Infatti, per la parte che riguarda
l'informazione, appare in contrasto non solo con
l'articolo 21 della Costituzione, ma anche con numerose
pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo. La ricostruzione
di Franco Abruzzo è condivisibile: le sentenze sui
casi
Goodwin v. the United Kingdom, Roemen and Schmit v.
Luxembourg,
Tillack c. Belgique, Dupuis and Others v. France
e Eerikäinen
and Others v. Finland parlano chiaro. Sanciscono il diritto della stampa di informare su indagini in corso e
quello del pubblico di essere informato su inchieste
"scottanti". Con il corollario
dell'illegittimità delle perquisizioni a carico di
giornali e giornalisti e anche con l'affermazione della prevalenza
del diritto di sapere sulla tutela della privacy.
La nostra Corte costituzionale - ci ricorda sempre
Abruzzo - in diverse occasioni ha riconosciuto che le
decisioni della Corte di Strasburgo devono prevalere su
quelle nazionali (sentenze 348 e 349 del 2007 e 39 del 2008).
E allora che cosa può
succedere?
Ipotizziamo che il Parlamento approvi la legge, anche con "alleggerimenti" rispetto al
testo attuale. Il Presidente della Repubblica la
promulga? Questo è un punto delicato, perché Napolitano potrebbe anche
rinviarla alle
Camere, richiamando proprio le decisioni della Corte di
Strasburgo. Le Camere lo approverebbero di nuovo con
poche modifiche e la promulgazione a questo punto sarebbe obbligatoria.
Ma è possibile che la legge venga promulgata subito e
produca in breve tempo il suo effetto-bavaglio.
Però qualche giornalista con la schiena
dritta potrebbe violare consapevolmente la legge
pubblicando atti di inchiesta giudiziaria. La prima
conseguenza, dopo l'apertura dell'indagine a suo carico,
sarebbe la sospensione cautelare dall'esercizio della
professione. Poi potrebbe subire una condanna fino a tre
anni di reclusione.
La sua difesa potrebbe
chiamare in causa la Corte costituzionale, per non
infondati sospetti di violazione dell'articolo 21 e
delle decisioni della Corte di Strasburgo. La Consulta
potrebbe dichiarare incostituzionale la legge sulle
intercettazioni e tutto ritornerebbe come prima. Il
problema è che l'iter non può essere breve e nel
frattempo editori e giornalisti vivrebbero sotto la
spada di Damocle delle indagini penali.
Con un evidente ferita per la libertà di informazione e
il diritto di sapere.
Vedi anche
Atti giudiziari e intercettazioni:
censura in vista
Intercettazioni e pubblicazioni: i veri
problemi
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