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Diritti digitali, il problema dei
problemi Tutto il sistema che abbiamo tracciato
negli articoli precedenti è attraversato da un
fattore essenziale e problematico: quello dei
"diritti digitali", cioè del flusso di
denaro che dall'utente va al produttore dei contenuti,
percorrendo in senso contrario la stessa catena di
distribuzione che porta i contenuti stessi all'utente. Possiamo
descrivere la "filiera" con uno schema
iniziale molto semplice:
Il sistema va esaminato da due opposti punti di
vista: quello degli autori, che devono disporre di una
catena che porti i contenuti fino agli utenti finali,
assicurando il ritorno economico (diritto d'autore);
quello degli utenti, che devono avere la più ampia
scelta possibile di contenuti e non solo a pagamento.
Si riassumono in questo modo i due aspetti di base del
"diritto di accesso": quello che possiamo
definire "attivo", cioè il diritto degli
autori di disporre di canali di distribuzione, e quello
"passivo", vale a dire il diritto degli
utenti di accedere a qualsiasi contenuto.
Tralasciamo in questa sede gli aspetti giuridici,
oggetto di un'ampia e complessa normativa comunitaria
e nazionale. Per ora ci basta
l'articolo 21 della nostra Costituzione: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione". Questa formula, a differenza di
quella adottata in altre Carte fondamentali, sancisce
solo il diritti "attivo"; la dottrina e la
nostra Corte
costituzionale ne hanno dato una lettura che riconosce
come implicito anche il diritto "passivo" di
accedere a tutte le manifestazioni del pensiero.
Dall'esperienza, e da quanto abbiamo esposto nei capitoli precedenti,
appare chiaro che nel sistema dei media che oggi si
sta disegnando la soddisfazione del diritto di accesso
attivo e passivo è subordinata al verificarsi di una
serie di condizioni, che riguardano soprattutto
l'apertura delle "piattaforme" di diffusione
e di accesso ai
contenuti. E la situazione è ben lontana
dall'ideale.
Per capire i termini della questione, vediamo che
cosa accade in Italia con l'offerta, molto
pubblicizzata in questo periodo, di un operatore di
telecomunicazioni (quindi un carrier, cioè un
soggetto che si occupa del trasporto dei contenuti).
L'operatore fornisce un set-top-box che sfrutta le linee
telefoniche per dare all'utente, oltre alla telefonia
vocale, l'accesso all'internet e a un certo numero di
canali televisivi digitali satellitari e terrestri.
Si tratta dunque di una piattaforma di accesso via
cavo, i cui contenuti sono limitati dalle scelte del carrier: gli utenti possono
ricevere solo i contenuti forniti da editori con i
quali il carrier abbia stipulato contratti di
distribuzione
Gli editori, a loro volta, hanno stipulato
contratti con i produttori dei contenuti che ritengono
conveniente distribuire. In questo modo i contenuti
che passano dagli autori agli utenti sono selezionati
a due livelli: dagli editori e dai trasportatori
(potremmo aggiungere una terza categoria, ancora non
ben definita, che sarebbe quella degli
"integratori di contenuti", ma il quadro
sostanziale non cambierebbe di molto).
Invece è importante osservare che la situazione per
gli autori è speculare a quella che abbiamo descritto
per gli utenti: se non trovano editori e trasportatori
interessati alle loro opere, non possono ricavarne
alcun guadagno.
Vediamo così che la totale soddisfazione dei diritti
attivi e passivi di accesso all'informazione è di
fatto ostacolata a due livelli: gli autori
subiscono il "filtro" degli editori e gli
utenti subiscono i limiti della
"piattaforma" usata per accedere ai
contenuti. Ed è facile intuire, purtroppo, che queste
limitazioni non sono solo di natura economica, perché le
scelte degli editori e dei carrier possono
essere anche determinate convenienze di tipo politico
o culturale.
Dunque a questo punto possiamo ridisegnare lo schema iniziale
introducendo le due barriere:
Lo schema reale è molto più complesso, perché si
deve considerare che esistono pluralità di fornitori
di contenuti, di distributori e di trasportatori,
nonché di piattaforme di accesso. Le interazioni tra
questa moltitudine di attori della filiera possono
determinare diverse "configurazioni"
dell'accesso attivo e passivo e quindi delle relative
barriere. Per l'utente la disponibilità di diverse
piattaforme rende più ampia la scelta di contenuti,
ma con le complicazioni che abbiamo visto nella
puntata precedente.
Va inoltre sottolineato un fattore assai critico: la cosiddetta "integrazione
verticale" tra gli attori della distribuzione.
Infatti, un trasportatore che sia anche editore (o
addirittura produttore) di contenuti, può limitare il
campo di azione di editori o produttori concorrenti.
E' la situazione che si verifica in Italia, dove il
principale (di gran lunga) operatore della rete
telefonica è anche fornitore di servizi a valore
aggiunto. In questo modo riesce a discriminare i
servizi analoghi forniti dai concorrenti, adottando pratiche anticoncorrenziali, come i tempi di annuncio
di nuovi servizi o i prezzi. Le autorità antitrust
non riescono a contrastare questi comportamenti con la
necessaria tempestività ed efficacia.
Torniamo ora al punto centrale della nostra
analisi: il sistema dei media nel quale si colloca la
televisione digitale terrestre.
In prima battuta troviamo la conferma che l'internet
è la piattaforma che assicura il più ampio diritto
di accesso, attivo e passivo. In effetti, la
disponibilità di contenuti in rete è virtualmente
illimitata, potendo comprendere anche la televisione e
la radio (se i produttori di
contenuti televisivi e radiofonici si attivano per
fornire i loro contenuti anche via internet; questo
non è un problema, appena si rileva la convenienza
dell'operazione).
L'internet ha però due limiti: il primo, dalla
parte degli autori, è la difficoltà di riscuotere i
diritti sulle opere, quando non sono diffuse
attraverso una forte catena distributiva. E' vero che
i micropagamenti on line non sono più un problema, ma
è vero anche che l'utente dell'internet non mostra
molta disponibilità ad accedere a contenuti a
pagamento, anche di qualità elevata. In questo modo
si tagliano fuori, anche dalla Rete, i contenuti di qualità. Oppure ci si rassegna a
diffonderli gratis.
D'altra parte esiste un altro consistente limite
all'accesso ai contenuti on line, quello tecnico e/o
culturale per i quale oggi solo il 30 per cento della
popolazione ha accesso all'internet. Il che, di fatto,
limita le opportunità di diffusione di
contenuti urbi et orbi offerte dalla Rete.
Al contrario, la
televisione terrestre costituisce la piattaforma di distribuzione di
contenuti che raggiunge praticamente la
totalità della popolazione.
Oggi il numero limitato
di canali analogici lascia nelle mani di pochissimi
soggetti le scelte sui contenuti da distribuire,
gratis o a pagamento. Ma con le emissioni in tecnica
digitale i canali dovrebbero moltiplicarsi. Questa è
la più importante opportunità offerta dal digitale terrestre: combinando il
maggior numero di canali con la diffusione universale
della piattaforma televisiva, si ottengono le più
ampie possibilità di accesso ai contenuti. Almeno in teoria.
Il passaggio dalla teoria alla pratica si
verificherà solo se il modello di crescita della DTT
sarà diverso da quello che ha contraddistinto in
Italia lo sviluppo della TV analogica, con la
concentrazione in poche mani dei contenuti e del
potere di diffusione. C'è già un "altolà"
dell'Unione europea, di fronte alla prospettiva di
replica del duopolio della normativa attuale. C'è
anche una dichiarata volontà politica di aprire la
piattaforma al maggior numero possibile di
protagonisti e all'offerta di contenuti gratuiti (vedi
Il digitale terrestre, una sfida
per l'informazione e Da
Napoli la svolta sulla TV digitale terrestre).
Con la DTT, oltre
alla migrazione obbligata dell'attuale TV
"generalista" e ai contenuti di immediato
ritorno economico (il calcio, in
particolare), esiste la concreta possibilità di
creare canali destinati a contenuti di
qualità che possono essere finanziati dalla
pubblicità o da altre risorse, quali
i finanziamenti previsti dall'art. 122 del disegno di
legge finanziaria per il 2007. Ancora una volta, nulla
che non si possa fare anche con l'internet o la
televisione via satellite. Ma la DTT, è sempre bene
ricordarlo, ha una essenziale marcia in più: la diffusione universale della
piattaforma televisiva.
E anche se questa non assicura la completa
soddisfazione dei diritti di accesso attivo, è
certamente un passo avanti rispetto alla situazione
attuale. Con una importante avvertenza: la più ampia
diffusione dei contenuti, con la conseguente crescita
del sistema, si potrà avere solo riducendo al minimo
l'invasività dei sistemi di controllo dei diritti
d'autore: non ceda l'industria alla tentazione di
introdurre sistemi di DRM (Digital Rights
Management - gestione dei diritti digitali) troppo
stretti sulla diffusione dei contenuti attraverso il
digitale terrestre, altrimenti gli utenti saranno
pochi.
Nel digitale terrestre non si deve replicare quanto
sta avvenendo per i supporti fisici e per i contenuti
on line, con la negazione del principio per il quale
diritto d'autore è
nato: facilitare la massima diffusione delle idee,
assicurando nel contempo la retribuzione del creatore.
Oggi si verifica una crescente iper-protezione dei
diritti degli autori (ma soprattutto degli editori, i
veri "padroni delle idee"), con la corrispondente
riduzione dei diritto dell'utente di utilizzare il
prodotto che ha legittimamente acquisito.
Con il digitale terrestre questa tendenza si può
invertire o si può accentuare: nel secondo caso i
risultati sarebbero disastrosi.
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linea rossa del "divario digitale"
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