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La linea rossa del divario digitale Abbiamo
detto che la televisione digitale terrestre è un
mezzo teoricamente inutile, perché non può offrire
alcun servizio che non possa essere fornito dalla TV
satellitare (con i vantaggi della copertura
virtualmente totale del territorio) o dall'internet
(con i vantaggi della migliore interattività). Però
la televisione terrestre è una piattaforma a
diffusione universale e il passaggio al digitale
consente di offrire più canali e più applicazioni
"avanzate". Di conseguenza può rivelarsi la
killer application per portare dovunque, e a
ogni strato della popolazione, i servizi della
società dell'informazione. Con tutto quello che ne
consegue in termini di sviluppo socio-economico e
culturale.
Ma quando diciamo che la televisione terrestre (per
ora analogica) è un mezzo di diffusione universale,
esprimiamo un concetto impreciso sotto almeno due
punti di vista. Il primo è che le caratteristiche del
territorio rendono molto difficile la copertura
"totale". E' esperienza comune che in molte
zone rurali o montane il segnale televisivo si riceve
male o non si riceve affatto e che anche in aree
urbane tecnicamente "illuminate" da diversi
trasmettitori, alcuni canali non arrivano o arrivano
con una qualità molto scadente.
Il passaggio alla DTT risolverà alcuni casi e ne
aggraverà altri. Infatti, pur utilizzando le stesse
radiofrequenze, il segnale della TV digitale presenta
problemi differenti in fase di ricezione. Per questo
il tanto conclamato switch-off dell'analogico
richiederà anche la revisione della mappa
territoriale dei trasmettitori e dei ripetitori.
Ma anche dopo questa fase, che richiederà comunque
molto tempo, ci sarà sempre un "ultimo
utente" che non potrà essere raggiunto.
Il problema è sostanzialmente economico. Se
installare un'antenna costa 10.000 euro (una cifra a
caso) e illumina una zona in cui risiedono 10.000
persone, il costo per raggiungere un utente è pari a
un euro. Se la popolazione residente è di mille
individui, il costo unitario sale a 10 euro. Ma se,
come può accadere in un'area montana, la popolazione
è pari a cento o duecento persone, il costo diventa
insostenibile.
Normalmente l'installazione o l'aggiornamento degli impianti parte
dalle aree più densamente popolate e raggiunge
gradualmente le altre (si pensi che per la copertura
attuale del territorio italiano, che presenta ancora
qualche area "buia", sono
occorsi una ventina di anni). Per la DTT il
problema è alquanto diverso, perché dipende in gran
parte dalla disponibilità di frequenze su aree già
coperte dalla TV analogica. Allo stato attuale, lo
spettro elettromagnetico dedicato alla televisione
terrestre appare dovunque saturo.
Dobbiamo aspettare che si concluda il censimento
delle frequenze avviato dal ministro Gentiloni e
soprattutto che si chiariscano i meccanismi sulla base
dei quali le frequenze "libere" o
"liberate" saranno assegnate agli operatori
vecchi e nuovi.
Ci sarà comunque una fase intermedia, durante la
quale la copertura digitale sarà parziale: una parte
della popolazione avrà accesso ai nuovi contenuti e
ai nuovi servizi, una parte no.
Si ripeterà in
questo modo la situazione che viviamo ancora oggi con
la diffusione della larga banda sulla rete telefonica.
I centri più grandi sono già coperti da tempo,
mentre per in molti di quelli più piccoli (dove la
larga banda sarebbe utilissima per favorire lo
sviluppo economico e sociale) si deve ancora attendere.
In ogni caso la disponibilità della DTT, come di
ogni altro mezzo, non potrà mai arrivare al cento per
cento. E' praticamente impossibile raggiungere
l'ultimo
utente potenziale, sia perché costerebbe troppo, sia
perché il concetto di "ultimo utente" può
può essere visto anche in senso socio-culturale.
Esiste cioè un "ultimo utente" da servire,
ma che non può essere servito perché non ha i soldi
per comperare l'apparecchiatura o perché non conosce
nemmeno l'esistenza di un determinato mezzo.
Per capire le dimensioni del problema, riflettiamo
su un dato diffuso di recente (vedi le anticipazioni
sull'ultimo rapporto
Censis sulla comunicazione): circa il 30 per cento degli italiani usa
l'internet come mezzo di informazione. Dispone quindi
di uno strumento molto utile per una miriade di
attività: vi si trovano informazioni della pubblica
amministrazione (e in qualche caso c'è anche la
possibilità di interazione), gli orari dei treni e
degli aerei, le mappe dettagliate di tutto il mondo,
informazioni praticamente su tutto lo scibile umano,
notizie in tempo reale, approfondimenti su ogni
materia. Un solo fatto per rendere l'idea del
cambiamento che l'internet ha portato nel mondo
dell'informazione: da poco tempo il TG1 invita regolarmente i
telespettatori a consultare il sito internet della
testata per gli approfondimenti o per scrivere alla
redazione.
Ebbene, se solo il 30 per cento degli italiani si serve
dell'internet, significa che oltre i due terzi della
popolazione italiana sono tagliati fuori dalle
opportunità offerte dalla Rete. Con un'immagine che
non è esagerata come può sembrare a prima vista, si
può dire che per due terzi degli italiani il mondo
dell'informazione è fermo al secolo scorso. E' un problema serio, alla cui soluzione il digitale
terrestre può dare un contributo, data la diffusione
del mezzo televisivo.
Lo "scarto di conoscenza"
Ma c'è di più. Proviamo a vedere la questione
nell'ottica di un paese si trova
ancora nella fase iniziale dello sviluppo, come molte
nazioni africane. Che utilità avrebbe un medium
interattivo (immaginiamo una disponibilità di
internet su banda larga, diffusa in radiofrequenza)
dove la popolazione non sa che farsene e, per di più,
non c'è la corrente elettrica per far funzionare gli
apparati?
Sono questioni di grande rilevanza per lo sviluppo
della società, perché la linea rossa del digital
divide non costituisce semplicemente un confine
tra chi ha e chi non ha accesso a certe fonti di
informazione, ma determina un divario crescente del
livello di conoscenza tra gli have e gli have-not.
In sostanza, quelli che hanno accesso a più fonti
hanno sempre più informazione, capacità
comunicative, contatti sociali; gli altri restano al
palo. E' la materia della "Teoria dello scarto di
conoscenza" (knowledge gap), che
dovrebbero studiare i politici e i tecnici che
programmano gli sviluppi del sistema dei media, se mai
fossero interessati alle conseguenze sociali delle
loro decisioni.
Un approfondimento di questi problemi ci porterebbe
lontano dagli scopi di questa serie di articoli, ma i
pochi accenni fatti dovrebbero dare un'idea delle
implicazioni connesse ai tempi del passaggio
dall'analogico al digitale nella televisione. Il
processo avviene inevitabilmente
"a macchia di leopardo" e funziona,
semplificando, così: su un trasmettitore si libera un
canale analogico e al suo posto si trasmette
un certo numero di canali digitali (almeno quattro).
Ora, poiché i canali già attivi
sono molti di più (già oggi qualche decina) si deve
scegliere a quali dare la precedenza, in attesa che si
liberino altre frequenze. Quali devono essere i
criteri di scelta, considerando che da una parte ci
sono forti interesse economici (canali a pagamento,
anche in concorrenza fra loro) e dall'altra la
possibilità di offrire informazioni e servizi utili
per tutti i cittadini?
Non si dovrebbe tener conto dell'utilità sociale di
certi contenuti prima che del profitto?
Di fatto, nella situazione attuale, lo switch-over
si verifica quando un operatore decide compiere il
passaggio su frequenze delle quali dispone, ma è
chiaro che questo metodo non può garantire uno
sviluppo equilibrato del sistema. Anche perché in
queste condizioni il principale fattore di scelta è
puramente economico, come si vede dalla diffusione dei
canali a pagamento di Mediaset e La 7, molto più
diffusi del canale Rai News 24 del servizio pubblico.
Dunque si deve considerare essenziale la correlazione
tra scelte operative e aspetti sociali. Forse (ma non
è chiaro con quali procedure) ci prova il disegno
di legge Gentiloni, che almeno su questo
aspetto dovrebbe essere migliorato in sede
parlamentare.
Per concludere riflettiamo su un fatto: dagli anni
'50 la televisione ha svolto un ruolo fondamentale
nella crescita socio-culturale degli italiani, al
punto che qualcuno dice che ha "unificato"
il Paese. Ora i nuovi media possono determinare una
più avanzata fase di sviluppo, contribuendo a
diminuire gli scarti di conoscenza tra zone
geografiche e condizioni socio-economiche.
La televisione digitale terrestre, pur con i suoi
limiti, può costituire uno strumento fondamentale di
questa evoluzione perché per la grande maggioranza
della popolazione è un mezzo più
"amichevole" dell'internet e più economico
e di facile ingresso della TV satellitare.
Naturalmente tutto dipende anche dalla
disponibilità e dalla qualità dei contenuti, sui
quali si gioca la sfida finale. Ma di questo abbiamo
già detto.
(Fine)
Gli articoli precedenti:
1. Perché il digitale terrestre?
- La TV digitale nel sistema dei
media
2. I contenuti della DTT -
Dalla parte dei fornitori
3. Il set-top-box, ma non
solo... - Dalla parte dell'utente
4. Diritti digitali, il
problema dei problemi
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