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Il "mitico" Sonnar 180mm f:2,8,
nato nel 1936 e qui in versione Carl Zeiss Jena del 1977 per
la reflex 6x6 Pentacon Six.
Modificato per la Zenza Bronica S2A e con un adattatore
Nikon F, oggi è un buon tele per le reflex digitali. Per
chi non teme le regolazioni manuali... |
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Lontano ma vicino, il fascino indiscreto del
teleobiettivo - 1 |
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Indice
delle lezioni |
Partiamo da
lontano per capire il presente. Sulla
montatura di questo obiettivo c'è scritto Sonnar
2,8/180 Carl Zeiss Jena DDR. Un'ottica
leggendaria, progettata per le Olimpiadi di Berlino del
1936 e costruita in diverse varianti fino ai primi anni
2000. E' interessante ancora oggi, nell'era digitale, almeno
per chi non ha problemi per regolare il fuoco a mano, mentre l'esposizione automatica può funzionare a
priorità del diaframma.
Questo esemplare, acquistato nel 1977 per quattro soldi su una
bancarella, era fatto per la Pentacon Six, una reflex 6x6cm
costruita nella Germania Est.
Il famoso fotoriparatore milanese Massimo Benatti lo aveva
adattato alla mia Zenza Bronica S2A e, con un super-anello,
alla baionetta Nikon (tutta la storia è in questo
articolo di Nuova Fotografia, dell'ottobre 1977). E lo posso usare ancora sulle
Nikon digitali.Nell'era
dei superzoom può sembrare strano introdurre un discorso
sui teleobiettivi partendo da un pezzo d'antiquariato.
C'è un perché: il vecchio Sonnar ci fa capire la
logica dell'utilizzo delle focali più lunghe del
"normale". Infatti, nella versione per fotocamere 6x6 è un "mezzo
tele", con una lunghezza focale di poco più del
doppio della diagonale del fotogramma, come un 105 sul
24x36mm; nella versione per il formato 24x36mm è un
teleobiettivo di uso generale (fra 3 e 4 volte la focale
normale); con il duplicatore di focale diventa un 360mm e
dà un ingrandimento di oltre 7 volte, al limite
dell'usabilità a mano libera (prima della diffusione dei
sistemi di riduzione delle vibrazioni).
Con focali ancora più lunghe si entra nel campo dei
"supertele", che vediamo in azione in questa
pagina.
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I due vecchi obiettivi
catadiottrici usati per alcune foto di questa
pagina: in alto il Tamron 500mm f:8 (1996), in basso
il "sovietico" MTO 1100mm f:10,5 (1987). |
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50mm
Partiamo da qui: uno scatto alla focale "normale" ci offre la
visione complessiva, naturale, della scena alla quale si
riferiscono tutte le fotografie di questa pagina (nella seconda pagina di questa
lezione approfondiamo il tema della focale
"normale").
E' la piccola valle tra la via Flaminia e il centro storico di
Morlupo, poco a Nord di Roma.
Come paesaggio non è granché. E neanche come fotografia. Ma
ci sono dettagli interessanti, che si possono scoprire con i
teleobiettivi.
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180mm
Il vecchio Sonnar, raccontato all'inizio della
pagina, ci fa avvicinare all'edificio che abbiamo intravisto,
sulla sinistra, nella foto precedente. E' il convento francescano di Santa Maria
Seconda, che risale al 1500.
Nella calda luce dalla prima mattina la costruzione si staglia
nel verde. L'ingrandimento rispetto al
panorama della prima foto mette in evidenza altri elementi, che
destano la curiosità di vedere più da vicino. Occorre una
focale più lunga.
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500mm
Il catadiottrico Tamron 500mm f:8 è un altro vecchio
obiettivo a fuoco manuale (acquistato nel 1996)), che torna utile montato sulla reflex digitale FF (Full
Format, ovvero il "pieno formato" 24x36mm).
Con questa lunghezza focale siamo oltre il confine tra i tele e i
"supertele". La mancanza di un sistema di riduzione
delle vibrazioni ci obbliga a usare un solido treppiede, ma ne
vale la pena: qualcosa che sfuggiva nella scena generale e si
intuiva nella ripresa con il 180mm, qui si vede con chiarezza.
E suscita nuove curiosità, in particolare per le due
"aperture" che si notano sulla destra, sopra il
tetto del convento,.
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1100mm
Per andare ancora più vicino è necessario schierare
l'artiglieria pesante. "Pesante" in senso letterale,
perché il catadiottrico MTO 1100mm f:10,5 del 1978
stazza più di tre chili e mezzo e il cavalletto che lo tiene
ben fermo ne pesa più di cinque.
Ecco: il frontone scolpito nel tufo sembra confermare il
sospetto che le due grotte siano tombe etrusche rupestri, roba
di 2500 anni fa. E almeno una è ancora in uso, chiusa da un
cancello.
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1100mm
Il vecchio catadiottrico MTO 1100mm non è un
obiettivo per foto d'azione, ma in situazioni come questa fa
ancora onestamente il suo lavoro. Qui ci aiuta a scoprire la costruzione
moderna che era praticamente
invisibile nella panoramica iniziale, in alto a sinistra.
Un obiettivo così oggi è utile solo per sperimentare la
fotografia "lenta", studiata con tutto il tempo che
occorre, con la paziente messa a fuoco manuale.
I superzoom stabilizzati e autofocus delle attuali fotocamere bridge
consentono persino scatti "al volo", anche se oltre i
500mm un treppiede è sempre consigliato, per non salire
troppo con gli ISO e ottenere foto nitide anche in condizioni
di luce scarsa. Ma, quando occorrono forti ingrandimenti, si
deve ricorrere ai lunghi tele o telezoom sul pieno formato
24x36mm. E non tutti se li possono permettere.
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500mm
I lunghi tele sono spesso associati alla fotografia
naturalistica, per le riprese di animali selvatici nel loro habitat
naturale, o al lavoro dei "paparazzi" a caccia di
personaggi famosi da immortalare di nascosto.
Ma quando lo sguardo, anzi il teleobiettivo, si sposta ai
margini della scena, può rivelare aspetti misteriosi. Anche
la foto qui a sinistra è la "scoperta" di qualcosa
che sfugge alla visione attraverso la focale normale (per non
parlare dei grandangolari, spesso associati indebitamente alla
fotografia di paesaggi).
Usati come e quando è opportuno, si rivelano potenti mezzi
di indagine visiva, perché offrono una visione della realtà
nei suoi dettagli nascosti.
I problemi dei "supertele" e
"superzoom"
Le riprese con focali molto lunghe non sono facili, in
primo luogo per il rischio del "mosso" (o del
"micromosso", invisibile a ingrandimenti non troppo
spinti, ma che comunque deteriora l'immagine), anche se le luminosità
più elevate e i sistemi di stabilizzazione introdotti negli
ultimi anni permettono di scattare a mano libera in molte
situazioni che con i vecchi teleobiettivi sarebbero
proibitive.
I sistemi di riduzione delle vibrazioni non possono fare
miracoli. Il problema delle foto "mosse" deriva
dall'ingrandimento: più è grande il soggetto sul sensore,
più è grande ogni movimento accidentale, al punto che a
volte è difficile trovare il soggetto da riprendere.
E' facile fare una prova. Si prende in mano una "superzoom" di
ultima generazione, si estende la focale all'equivalente di
1000mm o più, e poi si cerca di tenere il soggetto al centro
del mirino mentre si preme il pulsante di scatto. Chi ci
riesce una volta su tre merita un diploma di "treppiede
umano".
Ci sono altre difficoltà che rendono spesso problematico
fotografare con i lunghi tele. La più comune è la scarsa
"trasparenza" dell'aria, dovuta all'umidità
atmosferica. In giornate calde il movimento stesso dell'aria
umida che sale tende a impastare le fotografie. L'aria è un
mezzo "trasparente", ma non troppo. E alle lunghe
distanze di aria tra l'obiettivo e il soggetto ce n'è tanta.
Infine c'è la scarsa profondità di campo, che si può
notare proprio nella foto qui a sinistra. Come il
"mosso" non voluto, la profondità di campo limitata
dipende dall'ingrandimento del soggetto nel fotogramma (vedi E se la profondità di campo fosse
un'illusione ottica?).
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In una giornata calda e
umida il movimento dell'aria che sale provoca l'effetto
"miraggio nel deserto", spesso evidente nelle
riprese video a lunga distanza.
Anche nella fotografia l'evaporazione determina immagini
"tremolanti".
Per verificarlo non occorre andare nel Sahara: anche alle nostre
latitudini l'effetto può essere evidente. Come si vede in questo
ingrandimento al 100%, in cui la geometria di una ringhiera si spappola senza
rimedio e le linee rette vanno a zig-zag. |
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Dei
lunghi teleobiettivi si dice anche che producono immagini a
basso contrasto. Questa potrebbe essere un esempio. In realtà è
stata scattata con una focale non molto lunga (400mm) in una giornata
molto umida. Il basso contrasto è l'effetto della foschia: le
goccioline d'acqua sospese sono altrettante lenti, che
diffondono la luce e distruggono anche la nitidezza
dell'immagine, come si vede dall'ingrandimento qui sotto.
La controprova è nel prossimo esempio, dove in una giornata
limpida anche il 1100mm ha prodotto un'immagine dal contrasto
perfetto. |
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La prospettiva compressa
"I teleobiettivi
comprimono la prospettiva". Vero o falso?
Vero, a prima vista: più lunga è la focale, più "schiacciata"
appare l'immagine.
Si vede bene nella foto qui a destra, scattata con il solito MTO 1100mm,
in cui la cosiddetta "prospettiva del tele" è evidente: tra l'edificio più vicino e quello più lontano ci sono
più di 300 metri,
ma nella foto sembrano attaccati (le distanze sono misurate con Google Maps).
In realtà il teleobiettivo non cambia la prospettiva dell'immagine:
nella ripresa da lontano il rapporto tra le distanze si riduce,
rispetto a come sono viste da vicino, e ci dà la sensazione di una
prospettiva differente.
La dimostrazione è nell'esempio che segue.
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Se osserviamo le tre inquadrature qui a destra, scattate a 25, 50 e
100mm, l'affermazione che la prospettiva si comprime con l'aumento
della lunghezza focale sembra corretta: nella prima vediamo una
prospettiva accentuata, nella seconda è "normale", nella
terza appare compressa.
Qui sotto si dimostra che è una falsa sensazione: portando le
tre immagini allo stesso fattore di ingrandimento rispetto al reale,
la prospettiva è identica.
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Dov'è il trucco? E' un
puro fatto di proporzioni: il teleobiettivo "avvicina" il
soggetto, il grandangolare lo "allontana".
Due oggetti uguali, uno a quattro metri e uno a otto dai nostri
occhi, appaiono l'uno il
doppio dell'altro. Ma se ci allontaniamo (cioè usiamo un obiettivo
di focale più lunga per la stessa inquadratura), al nostro sguardo
i due oggetti sono più vicini in rapporto alla distanza di
osservazione; la
differenza di dimensioni è minore e la prospettiva appare quindi
meno accentuata.
Con i grandangolari si verifica il contrario e la prospettiva
apparente si espande. |
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