Il "mitico" Sonnar 180mm f:2,8, nato nel 1936 e qui in versione Carl Zeiss Jena del 1977 per la reflex 6x6 Pentacon Six.
Modificato per la Zenza Bronica S2A e con un adattatore Nikon F, oggi è un buon tele per le reflex digitali. Per chi non teme le regolazioni manuali...

Lontano ma vicino, il fascino indiscreto del teleobiettivo - 1

Lezioni di fotografia  N. 9  – 25 luglio 2019 Precedente  Pagina 2
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Partiamo da lontano per capire il presente. Sulla montatura di questo obiettivo c'è scritto Sonnar 2,8/180 Carl Zeiss Jena DDR. Un'ottica leggendaria, progettata per le Olimpiadi di Berlino del 1936 e costruita in diverse varianti fino ai primi anni 2000. E' interessante ancora oggi, nell'era digitale, almeno per chi non ha problemi per regolare il fuoco a mano, mentre l'esposizione automatica può funzionare a priorità del diaframma.
Questo esemplare, acquistato nel 1977 per quattro soldi su una bancarella, era fatto per la Pentacon Six, una reflex 6x6cm costruita nella Germania Est. Il famoso fotoriparatore milanese Massimo Benatti lo aveva adattato alla mia Zenza Bronica S2A e, con un super-anello, alla baionetta Nikon (tutta la storia è in questo articolo di Nuova Fotografia, dell'ottobre 1977). E lo posso usare ancora sulle Nikon digitali.

Nell'era dei superzoom può sembrare strano introdurre un discorso sui teleobiettivi partendo da un pezzo d'antiquariato. C'è un perché: il vecchio Sonnar ci fa capire la logica dell'utilizzo delle focali più lunghe del "normale". Infatti, nella versione per fotocamere 6x6 è un "mezzo tele", con una lunghezza focale di poco più del doppio della diagonale del fotogramma, come un 105 sul 24x36mm; nella versione per il formato 24x36mm è un teleobiettivo di uso generale (fra 3 e 4 volte la focale normale); con il duplicatore di focale diventa un 360mm e dà un ingrandimento di oltre 7 volte, al limite dell'usabilità a mano libera (prima della diffusione dei sistemi di riduzione delle vibrazioni).
Con focali ancora più lunghe si entra nel campo dei "supertele", che vediamo in azione in questa pagina.

I due vecchi obiettivi catadiottrici usati per alcune foto di questa pagina: in alto il Tamron 500mm f:8 (1996), in basso il "sovietico" MTO 1100mm f:10,5 (1987).

50mm

Partiamo da qui: uno scatto alla focale "normale" ci offre la visione complessiva, naturale, della scena alla quale si riferiscono tutte le fotografie di questa pagina (nella seconda pagina di questa lezione approfondiamo il tema della focale "normale").
E' la piccola valle tra la via Flaminia e il centro storico di Morlupo, poco a Nord di Roma.
Come paesaggio non è granché. E neanche come fotografia. Ma ci sono dettagli interessanti, che si possono scoprire con i teleobiettivi.

Manlio Cammarata reporter - Newsletter

180mm

Il vecchio Sonnar, raccontato all'inizio della pagina, ci fa avvicinare all'edificio che abbiamo intravisto, sulla sinistra, nella foto precedente. E' il convento francescano di Santa Maria Seconda, che risale al 1500.
Nella calda luce dalla prima mattina la costruzione si staglia nel verde. L'ingrandimento rispetto al panorama della prima foto mette in evidenza altri elementi, che destano la curiosità di vedere più da vicino. Occorre una focale più lunga.

 

500mm

Il catadiottrico Tamron 500mm f:8 è un altro vecchio obiettivo  a fuoco manuale (acquistato nel 1996)), che torna utile montato sulla reflex digitale FF (Full Format, ovvero il "pieno formato" 24x36mm).
Con questa lunghezza focale siamo oltre il confine tra i tele e i "supertele". La mancanza di un sistema di riduzione delle vibrazioni ci obbliga a usare un solido treppiede, ma ne vale la pena: qualcosa che sfuggiva nella scena generale e si intuiva nella ripresa con il 180mm, qui si vede con chiarezza. E suscita nuove curiosità, in particolare per le due "aperture" che si notano sulla destra, sopra il tetto del convento,.

 

1100mm

Per andare ancora più vicino è necessario schierare l'artiglieria pesante. "Pesante" in senso letterale, perché il catadiottrico MTO 1100mm f:10,5  del 1978 stazza più di tre chili e mezzo e il cavalletto che lo tiene ben fermo ne pesa più di cinque.
Ecco: il frontone scolpito nel tufo sembra confermare il sospetto che le due grotte siano tombe etrusche rupestri, roba di 2500 anni fa. E almeno una è ancora in uso, chiusa da un cancello.

1100mm

Il vecchio catadiottrico MTO 1100mm non è un obiettivo per foto d'azione, ma in situazioni come questa fa ancora onestamente il suo lavoro. Qui ci aiuta a scoprire la costruzione moderna che era praticamente invisibile nella panoramica iniziale, in alto a sinistra.
Un obiettivo così oggi è utile solo per sperimentare la fotografia "lenta", studiata con tutto il tempo che occorre, con la paziente messa a fuoco manuale.
I superzoom stabilizzati e autofocus delle attuali fotocamere bridge consentono persino scatti "al volo", anche se oltre i 500mm un treppiede è sempre consigliato, per non salire troppo con gli ISO e ottenere foto nitide anche in condizioni di luce scarsa. Ma, quando occorrono forti ingrandimenti, si deve ricorrere ai lunghi tele o telezoom sul pieno formato 24x36mm. E non tutti se li possono permettere.

500mm

I lunghi tele sono spesso associati alla fotografia naturalistica, per le riprese di animali selvatici nel loro habitat naturale, o al lavoro dei "paparazzi" a caccia di personaggi famosi da immortalare di nascosto.
Ma quando lo sguardo, anzi il teleobiettivo, si sposta ai margini della scena, può rivelare aspetti misteriosi. Anche la foto qui a sinistra è la "scoperta" di qualcosa che sfugge alla visione attraverso la focale normale (per non parlare dei grandangolari, spesso associati indebitamente alla fotografia di paesaggi).
Usati come e quando è opportuno, si rivelano potenti mezzi di indagine visiva, perché offrono una visione della realtà nei suoi dettagli nascosti.

I problemi dei "supertele" e "superzoom"

Le riprese con focali molto lunghe non sono facili, in primo luogo per il rischio del "mosso" (o del "micromosso", invisibile a ingrandimenti non troppo spinti, ma che comunque deteriora l'immagine), anche se le luminosità più elevate e i sistemi di stabilizzazione introdotti negli ultimi anni permettono di scattare a mano libera in molte situazioni che con i vecchi teleobiettivi sarebbero proibitive.
I sistemi di riduzione delle vibrazioni non possono fare miracoli. Il problema delle foto "mosse" deriva dall'ingrandimento: più è grande il soggetto sul sensore, più è grande ogni movimento accidentale, al punto che a volte è difficile trovare il soggetto da riprendere.
E' facile fare una prova. Si prende in mano una "superzoom" di ultima generazione, si estende la focale all'equivalente di 1000mm o più, e poi si cerca di tenere il soggetto al centro del mirino mentre si preme il pulsante di scatto. Chi ci riesce una volta su tre merita un diploma di "treppiede umano".

Ci sono altre difficoltà che rendono spesso problematico fotografare con i lunghi tele. La più comune è la scarsa "trasparenza" dell'aria, dovuta all'umidità atmosferica. In giornate calde il movimento stesso dell'aria umida che sale tende a impastare le fotografie. L'aria è un mezzo "trasparente", ma non troppo. E alle lunghe distanze di aria tra l'obiettivo e il soggetto ce n'è tanta.

Infine c'è la scarsa profondità di campo, che si può notare proprio nella foto qui a sinistra. Come il "mosso" non voluto, la profondità di campo limitata dipende dall'ingrandimento del soggetto nel fotogramma (vedi E se la profondità di campo fosse un'illusione ottica?).

In una giornata calda e umida il movimento dell'aria che sale provoca l'effetto "miraggio nel deserto", spesso evidente nelle riprese video a lunga distanza.
Anche nella fotografia l'evaporazione determina immagini "tremolanti".
Per verificarlo non occorre andare nel Sahara: anche alle nostre latitudini l'effetto può essere evidente. Come si vede in questo ingrandimento al 100%, in cui la geometria di una ringhiera si spappola senza rimedio e le linee rette vanno a zig-zag.
Dei lunghi teleobiettivi si dice anche che producono immagini a basso contrasto. Questa potrebbe essere un esempio. In realtà è stata scattata con una focale non molto lunga (400mm) in una giornata molto umida. Il basso contrasto è l'effetto della foschia: le goccioline d'acqua sospese sono altrettante lenti, che diffondono la luce e distruggono anche la nitidezza dell'immagine, come si vede dall'ingrandimento qui sotto.
La controprova è nel prossimo esempio, dove in una giornata limpida anche il 1100mm ha prodotto un'immagine dal contrasto perfetto.

La prospettiva compressa 

"I teleobiettivi comprimono la prospettiva". Vero o falso?
Vero, a prima vista: più lunga è la focale, più "schiacciata" appare l'immagine.
Si vede bene nella foto qui a destra, scattata con il solito MTO 1100mm, in cui la cosiddetta "prospettiva del tele" è evidente: tra l'edificio più vicino e quello più lontano ci sono più di 300 metri, ma nella foto sembrano attaccati (le distanze sono misurate con Google Maps).
In realtà il teleobiettivo non cambia la prospettiva dell'immagine: nella ripresa da lontano il rapporto tra le distanze si riduce, rispetto a come sono viste da vicino, e ci dà la sensazione di una prospettiva differente.
La dimostrazione è nell'esempio che segue.

Se osserviamo le tre inquadrature qui a destra, scattate a 25, 50 e 100mm, l'affermazione che la prospettiva si comprime con l'aumento della lunghezza focale sembra corretta: nella prima vediamo una prospettiva accentuata, nella seconda è "normale", nella terza appare compressa.

Qui sotto si dimostra che è una falsa sensazione: portando le tre immagini allo stesso fattore di ingrandimento rispetto al reale, la prospettiva è identica.

 

Dov'è il trucco? E' un puro fatto di proporzioni: il teleobiettivo "avvicina" il soggetto, il grandangolare lo "allontana".
Due oggetti uguali, uno a quattro metri e uno a otto dai nostri occhi, appaiono l'uno il doppio dell'altro. Ma se ci allontaniamo (cioè usiamo un obiettivo di focale più lunga per la stessa inquadratura), al nostro sguardo i due oggetti sono più vicini in rapporto alla distanza di osservazione; la differenza di dimensioni è minore e la prospettiva appare quindi meno accentuata.
Con i grandangolari si verifica il contrario e la prospettiva apparente si espande.
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