Le argomentazioni di Franco Abruzzo, pubblicate
una settimana fa in risposta alle domande che gli
avevamo rivolto da queste pagine, pongono alcuni importanti punti fermi nella
discussione sorta in seguito all'entrata in vigore della legge
62/01. Per la verità, Abruzzo non risponde alla seconda, cruciale domanda,
se non sia necessaria una profonda revisione delle norme vigenti: se la cava con
la generica affermazione che "le riforme sono sempre
auspicabili". Tuttavia la posizione del presidente dell'Ordine di
giornalisti lombardi è chiara (vedi anche L'appello di
Franco Abruzzo al Ministro della giustizia, Vanno
registrate le testate on line e La registrazione
delle testate on-line è un obbligo) e si può sintetizzare in poche parole:
"Le norme prevedono che l'editoria periodica sia sottoposta alle norme
delle leggi del '48 sulla stampa e del '63 sulla professione giornalistica, la
Corte costituzionale non ha ravvisato profili di illegittimità di queste norme,
dunque non c'è nessun problema" .
Invece di problemi ce ne sono molti e anche sul piano costituzionale. Tanto
per incominciare, e per limitarci a un aspetto molto semplice, l'articolo
16 della nuova legge determina una disparità di trattamento tra i soggetti
che chiedano la registrazione al tribunale ai sensi della legge
47/48 e quelli che preferiscano la registrazione sostitutiva nel registro
degli operatori di comunicazione: i primi sono soggetti a limitazioni e
controlli ai quali non possono essere sottoposti i secondi e tanto basta a far
tremare l'articolo 3 della nostra Carta fondamentale: Tutti i cittadini...
sono uguali davanti alla legge...
La legittimità costituzionale delle norme sulla stampa è stata messa in
dubbio molte volte nel corso degli anni. Oltre alla decisione citata
da Abruzzo (la sentenza n. 2/71, che richiama la n.
11 e la n. 98 del 1968) ce n'è anche
una del lontano 1957, in cui la Corte affermava che "Gli articoli 5 e 16
della legge 8 febbraio 1948, n. 47, non sono incompatibili con l'articolo 21
della Costituzione, non prescrivendo alcuna autorizzazione in senso tecnico, ma
solo determinati adempimenti per la registrazione del giornale o del
periodico".
In tempi molto più recenti la questione è stata nuovamente sollevata dal
Pretore di Livorno (ordinanza di rimessione del
24 marzo 1999, GU 1a serie speciale n. 23 del 9 giugno 1999). La Corte ha
restituito gli atti al mittente, chiedendogli di riformulare il ricorso alla
luce della depenalizzazione dell'art. 663-bis del codice penale, intervenuta
nelle more del processo, e non si ha notizia dei passaggi successivi.
Ma il ripetersi negli anni di ipotesi di incostituzionalità delle norme
sulla stampa indica che qualcosa non funziona. Nulla esclude che la Corte
costituzionale possa mutare il proprio orientamento, di fronte al nuovo contesto
in cui l'articolo 21 deve esplicare i suoi effetti (vedi l'articolo di Daniele
Coliva "High Time" per una nuova giurisprudenza).
Tuttavia, se si osserva la questione in una prospettiva più ampia, ci si
accorge facilmente che i veri problemi sollevati dalle recenti disposizioni
sull'editoria non riguardano tanto le norme sulla registrazione delle testate (e
in particolare la necessità di un direttore iscritto all'albo dei giornalisti),
quanto la libertà di divulgazione delle idee nel suo significato più profondo.
Per dirla in poche parole, l'oggetto del contendere non è la libertà di
stampa, ma più in generale la libertà di espressione.
Limitare il problema alla legittimità e all'obbligatorietà della
registrazione delle testate, come fa Abruzzo, è fuorviante, perché il mondo
della comunicazione è profondamente cambiato in questi ultimi anni. La
legge 62/01 limita la libertà di espressione per chi non è giornalista e non
gli interessa svolgere questa professione . Le norme sulla stampa, la loro
legittimità costituzionale e l'opportunità di aggiornale sono un altro
discorso. Sono norme che riguardano le imprese editoriali e il giornalismo
professionale, come risulta evidente proprio dalle motivazioni delle
sentenze della Corte, tutte emanate molto tempo prima della diffusione
dell'internet.
L'epoca in cui viviamo, non a caso definita "società
dell'informazione", è caratterizzata dalla possibilità, per un
grandissimo numero di individui, di diffondere le proprie idee senza confini,
senza pastoie burocratiche, senza impegni economici e organizzativi e
soprattutto senza intermediazioni, al di fuori della professione giornalistica.
La Rete consente la più ampia manifestazione della libertà di espressione, che
è cosa diversa dalla libertà di stampa (come risulta evidente anche dalla
lettura dell'articolo 21 della Costituzione).
La pretesa di sottoporre il diritto di espressione di qualsiasi cittadino
italiano alle limitazioni che il nostro ordinamento prevede per le attività
editoriali comporta l'obbligo di chiedere l'iscrizione nell'Albo dei giornalisti
per tutti i cittadini che possiedono un computer, un modem e un accesso
all'internet. Con una conseguenza paradossale: all'affermazione (non
condivisibile, come abbiamo già scritto altre volte) che "siamo tutti
giornalisti", di fatto Abruzzo risponde "allora iscrivetevi tutti
all'Ordine"...
E' evidente che non tutti i cittadini che intendono diffondere le proprie
idee sulla Rete possono avere i requisiti per essere iscritti negli elenchi che
danno diritto alla qualifica di "giornalista", sicché una buona parte
ne sarebbe esclusa, in violazione dell'articolo 3 della Costituzione.
E ci sono leggi che permettono di reprimere eventuali abusi della libertà di
espressione, per evitare la paventata "anarchia" che deriverebbe dalla
mancata estensione all'internet delle norme del '48. Il problema, se mai, è
quello di dettare qualche semplice regola per assicurare l'applicabilità
di queste leggi, come un obbligo di identificazione per chi diffonde notizie o
opinioni on line, eventualmente sotto la tutela del cosiddetto "anonimato
protetto".
Semplice? Certo, a parte il fatto che l'internet è alquanto più estesa dei
confini d'Italia.
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