23 marzo 2009. Nella settimana che inizia
l'opposizione dovrebbe indicare un nuovo nome per la
carica di presidente della Rai. Nessuna regola lo
impone: è solo una consuetudine parlamentare.
Il presidente dell'emittenza pubblica, si dice, deve
essere un nome "di garanzia". Un contrappeso
più di forma che di sostanza, poiché che la
composizione del consiglio di amministrazione
rispecchia la maggioranza parlamentare del momento. La
proposta sarà accettata o respinta dal Presidente del
consiglio dei ministri. Negli ultimi giorni Berlusconi
ha bocciato sia la conferma di Claudio Petruccioli
sia la candidatura di Angelo Guglielmi, un esperto di altissimo
livello sul cui nome c'era già un'intesa tra i due
poli.
Un momento: chi dà a Silvio Berlusconi il potere di
veto sul nome del candidato alla presidenza della Rai?
Nessuno. Se lo attribuisce
da sé. Ma l'aspetto curioso è che lo stesso Silvio
Berlusconi, non un suo omonimo, è anche il padrone dell'azienda concorrente Mediaset. E'
come se il proprietario di una casa automobilistica
europea, poniamo la Volkswagen, si opponesse alla
nomina di un presidente del CDA della Fiat. Un'ipotesi
inimmaginabile, ma in Italia è la realtà.
Top
Però, anche se il proprietario dell'emittenza privata
si astenesse da intrusioni nella governance
della concorrenza, resterebbe il fatto che come
presidente del consiglio non è in alcun modo
legittimato a intervenire sul sistema televisivo
pubblico. Secondo il testo unico della radiotelevisione
(figlio della legge Gasparri del 2004), il nome del
presidente dell'azienda deve essere indicato dall'azionista di
maggioranza e approvato dalla commissione parlamentare
di vigilanza, con la maggioranza dei due terzi dei suoi
componenti. L'azionista in questione è il Ministero
del tesoro.
Un aspetto singolare di questa vicenda è il totale
silenzio dell'informazione sull'anomalia degli
interventi del capo del governo. Si dà conto e si
discute dei nomi, delle polemiche, delle manovre
politiche. Ma si tace della gravità della situazione
dal punto di vista istituzionale. Come si tace, o si
parla a voce molto bassa, degli altri problemi che
riguardano l'emittenza televisiva nel nostro paese.
Il sistema radiotelevisivo italiano è impantanato
in una situazione che sembra senza via di uscita. La
Rai è bloccata da nove mesi nell'attesa di un
consiglio di amministrazione e di un presidente che
rimettano in moto quella che rimane la più grande
impresa italiana nel campo dell'informazione e della
cultura.
Nell'etere regna l'illegalità: c'è Europa 7 che non
può trasmettere, pur avendo una regolare concessione
per tutto il territorio nazionale. Le sue frequenze
sono occupate da Rete 4, che la concessione non ce
l'ha, ma continua a operare sulla base di
provvedimenti "transitori", giudicati
illegittimi dalla Corte costituzionale e dalla Corte
di giustizia europea.
Anche il Consiglio di Stato, nella sua sentenza
n. 242 del 20 gennaio di quest'anno, ha scritto:
"...dal luglio del 2003, o meglio dalla fine del
2003 tenuto conto dei tempi tecnici ipotizzabili per
attuare la normativa di recepimento delle direttive,
fattori normativi invocati dalle amministrazioni (D.L.
n. 352/03 e la legge n. 112/04) non possono essere
considerati insuperabili, dovendo (e avendo dovuto) le
amministrazioni disapplicarli, se quella era l'unica
via per attribuire a centro Europa 7 le frequenze".
Significa che il Ministero delle comunicazioni
(leggi: il Governo) avrebbe dovuto "disapplicare"
le norme che consentivano a Rete 4 di continuare a
trasmettere, per assegnare le frequenze a Europa 7. In
sostanza Rete 4 avrebbe dovuto essere
"spenta" sull'analogico terrestre già alla
fine del 2003. Ma allora, come oggi, il capo del
governo che avrebbe dovuto staccare la spina alla
televisione "eccedente" era, ed è, il
proprietario della stessa emittente.
Ma nulla è stato fatto nemmeno nel biennio del
centro-sinistra, quando il governo Prodi avrebbe
dovuto dare immediata esecuzione alla sentenza
europea.
Questa è
l'anomalia italiana.
Altri problemi complicano il quadro. Mentre procede
(con qualche difficoltà) il passaggio al digitale
terrestre, Rai, Mediaset e La7 si preparano a lanciare
una nuova piattaforma satellitare in concorrenza con
l'attuale monopolista Sky. Si chiamerà "Tivù
Sat"
e sarà gratuita. Si profila un periodo di confusione
per i telespettatori. Da una parte sono costretti a
cambiare i televisori o acquistare i decoder per il
digitale terrestre. Dall'altra non è chiaro se i
milioni di utenti che hanno il decoder
"blindato" di Sky potranno usarlo anche per
la nuova piattaforma gratuita o dovranno comperarne un
altro.
L'anomalia continua.
Ultima
ora. Ieri sera la trasmissione Report
su RaiTre ha trattato la vicenda di Europa 7 con un
eccellente reportage di Bernardo Iovene. L'intervista
a un arrabbiatissimo Fedele Confalonieri è un pezzo
di grande televisione. Per chi volesse saperne di
più, alla dettagliata ricostruzione della sequela di
leggi e sentenze che hanno segnato la decennale
vicenda della "TV che non c'è" ho dedicato
un capitolo del mio libro "L'anomalia"
di imminente pubblicazione.
Per approfondire alcuni degli aspetti
toccati in questo articolo:
Europa7: un milione, una frequenza, una
beffa - 22.01.09
La lunga storia di Europa 7 -
20.02.08
Sky Italia condannata dai giudici di pace
- 24.07.06
Decoder unico: lo strumento per la
"convergenza" dei media - 06.07.06
La Rai non sarà la BBC, ma si deve tentare
- 05.06.06
Corte di giustizia UE - Sentenza
del 31 gennaio 2008 |