Riprendiamo il discorso di pochi giorni fa (Ancora
domande sull'informazione on line) per fissare l'attenzione sui possibili
sviluppi legislativi per l'informazione on line, in relazione ai problemi
sollevati dalla legge 7 marzo 2001, n. 62 "Nuove
norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto
1981, n. 416".
I fatti da valutare in prima battuta sono due: le dichiarazioni del
sottosegretario all'editoria, Bonaiuti, rese il 20 scorso alla Commissione VII
della Camera dei deputati, e la previsione di modifiche della stessa legge 62
inserite nel disegno di legge comunitaria 2001, approdato al Senato per
l'approvazione definitiva.
Come si può apprendere dal resoconto stenografico,
Bonaiuti ha lodato la legge 62, perché fornisce una nuova definizione del
"prodotto editoriale", includendo anche i nuovi mezzi digitali e
ridisegna il meccanismo delle "agevolazioni" fissato dalla legge
416/81 e più volte rimaneggiato nel corso degli anni (ma le prime sovvenzioni
alla stampa nell'Italia repubblicana risalgono al 1949).
Nessuno può dubitare che una nuova definizione del "prodotto
editoriale", nell'ottica della "convergenza multimediale" sia
necessaria, ma si deve vedere in quali termini e il quale contesto. Se le
disposizioni dell'articolo 1 della legge 62
devono avere valore generale, allora sono pericolosamente vaghe e parziali
perché ai sensi del secondo comma "Non costituiscono prodotto editoriale i
supporti che riproducono esclusivamente suoni e voci, le opere
filmiche...". Così un CD contenente poesie scritte è prodotto editoriale,
ma non lo è se le stesse poesie sono lette da attori, magari con un sottofondo
musicale. Ed è solo un esempio.
Se invece si dà un'interpretazione restrittiva dell'inciso "ai fini
della presente legge", ci troviamo senza una definizione giuridica
aggiornata della nozione di "prodotto editoriale" che possa costituire
un punto di riferimento per tutta la legislazione del settore.
Ma i veri problemi nascono dal terzo comma, dove la legge afferma che ai
prodotti editoriali (come definiti dai primi due commi) si applicano le
disposizioni della legge sulla stampa del 1948 e precisamente:
a) l'obbligo di inserire le indicazioni previste dall'art.
2 per tutte le pubblicazioni;
b) inoltre, per "il prodotto editoriale diffuso al pubblico con
periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento
identificativo del prodotto", l'obbligo dell'iscrizione nei registri della
stampa dei tribunali, ai sensi dell'art. 5.
A parte la difficoltà di capire che differenza ci sia tra il titolo che
contraddistingue qualsiasi iniziativa editoriale da "una testata,
costituente elemento identificativo del prodotto" e a parte la tautologica
previsione della "periodicità regolare", resta il fatto che la norma,
così com'è scritta, impone la registrazione di qualsiasi periodico on line,
anche se fatto con spirito amatoriale e senza fini di lucro. Ma, siccome per la
registrazione è necessaria la presenza di un direttore responsabile (che deve
essere iscritto all'Ordine dei giornalisti), una buona parte dei periodici on
line si viene a trovare fuorilegge se non può permettersi di pagare un
giornalista che svolga il ruolo (non privo di rischi) del direttore
responsabile.
C'è da ricordare che l'inserimento di queste
disposizioni nella legge 62 è stato preceduto da una serie di proposte, da
parte di vari esponenti della stampa, di sottoporre in qualche modo al controllo
dell'Ordine dei giornalisti i contenuti dell'informazione on line (vedi Richiamare
"all'Ordine" la libera informazione?) e che uno dei più accaniti
sostenitori di questa tendenza è il presidente dell'Ordine della Lombardia,
Franco Abruzzo, che ha dato della legge l'interpretazione più estensiva
possibile (vedi, di Abruzzo, Vanno registrate le testate
on line).
C'è da ricordare anche che l'attuale ministro delle comunicazioni, Gasparri, ha
riconosciuto l'opportunità di rivedere la legge, mentre vanno avanti da anni le
discussioni sulla necessità di rivedere la funzione dell'Ordine di giornalisti
(se non di abolirlo) e sui meccanismi di accesso alla professione.
Nelle polemiche che hanno seguito l'entrata in vigore della legge,
alcuni esponenti politici hanno dichiarato che le disposizioni del terzo comma
dell'articolo 1 si applicano solo alle testate che intendono accedere ai
contributi previsti dalla legge stessa; l'interpretazione cozza inesorabilmente
con il testo della norma. come abbiamo dimostrato a suo tempo (vedi Le
parole della legge e l'intenzione del legislatore). Ora il legislatore
stesso ha escogitato un vergognoso sotterfugio: "deve essere reso esplicito
che l’obbligo di registrazione della testata editoriale telematica si applica
esclusivamente alle attività per le quali i prestatori del servizio intendano
avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62, o che
comunque ne facciano specifica richiesta", come si legge all'art.
30, comma 1, lett. a) del disegno di legge S816.
E a questo punto il caos normativo può solo aumentare, perché con una norma
limitativa dell'obbligo di iscrizione si verificherebbe una disparità di
trattamento tra le testate tradizionali (cartacee e radiotelevisive), che sono tutte
obbligate all'iscrizione, e quelle telematiche, per le quali l'iscrizione
sarebbe necessaria solo per l'accesso alle agevolazioni.
Si dovrebbe quindi coordinare questa "interpretazione" con le
disposizioni della legge 47/48, tenendo presente anche il guazzabuglio normativo
determinato dall'articolo 16 della legge
62, secondo il quale l'iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione
tenuto dall'Autorità per le garanzie sarebbe sostitutiva di quella ai sensi
dell'art. 5 della legge 47/48.
Infatti le due norme non sono compatibili: la legge 47/48 prevede
l'iscrizione delle testate, con la presenza del direttore responsabile e
una valutazione della regolarità dei documenti presentati da parte del giudice
delegato, mentre la legge 249/97 (che istituisce l'AGCOM e il registro) prevede
l'iscrizione delle imprese editoriali e nulla dice sui requisiti per
l'iscrizione (compreso il direttore responsabile) e la loro valutazione, sicché
l'AGCOM non può sostituirsi al magistrato e la testata iscritta al ROC non può
essere iscritta al registro della stampa sulla base degli stessi requisiti.
Inoltre il regolamento del ROC estende l'obbligo dell'iscrizione a tutti i soggetti
(e quindi anche alle persone fisiche) che fanno editoria on line, mentre la
legge parla di imprese; come se non bastasse lo stesso regolamento limita
l'iscrizione ai soggetti che prevedono ricavi dall'attività
editoriale, al di fuori di qualsiasi previsione legislativa. Insomma, ci sono
forti dubbi di legittimità di questa parte del regolamento.
La conseguenza finale, in mancanza di una revisione di tutta la materia,
sarà che un buon numero di siti internet potrebbe trovarsi fuorilegge; in
teoria lo è già da 5 aprile, quando è entrata in vigore la 62/01, sia sulla
base dell'articolo 16 della 62, "L'iscrizione è condizione per
l'inizio delle pubblicazioni", sia per l'inosservanza dell'art. 5 della
legge 47/48.
Per completare il quadro si deve richiamare l'intensa attività epistolare
del solito Abruzzo, il quale insiste con una proposta che non è esagerato
definire indecente: il presidente dell'Ordine lombardo chiede infatti che il
solo titolo per accedere all'esame per la qualifica di giornalista
professionista sia la laurea specifica, che può essere conseguita in alcuni
atenei del nostro Paese.
Proviamo a immaginare la conclusione, se la proposta venisse accolta: per
pubblicare un periodico sull'internet è necessario essere giornalisti iscritti
all'albo professionale, per essere giornalisti iscritti all'albo è necessaria
la laurea in giornalismo...
Abruzzo sostiene e giustifica le sue argomentazioni sulla base della "peculiarietà
internazionale del sistema italiano rispetto a tutti i Paesi del mondo".
Infatti, in nessun altro Paese democratico del mondo esiste una corporazione
come quella nostrana: non nel Regno Unito, tanto per fare un esempio, dove la
libertà di stampa è nata nel XVII secolo insieme alla democrazia parlamentare
moderna; non negli USA, dove il Primo Emendamento alla Costituzione vieta
addirittura al Congresso di legiferare sulla materia. Né esistono strutture
paragonabili al nostro Ordine né in Francia, né in Germania, né in Austria...
Sicché più di "peculiarità" si dovrebbe parlare di "grave
anomalia". E anche su questo aspetto la normativa italiana potrebbe
rivelare qualche punto di attrito con le disposizioni europee.
Nella sua relazione alla Camera, il sottosegretario Bonaiuti ha detto:
"Il compito del Governo è anche quello di favorire - naturalmente sempre
attraverso il confronto e mai mediante alcuna forma di dirigismo - un
ripensamento della professione giornalistica dopo la rivoluzione generata dalle
nuove tecnologie. Mi riferisco, ad esempio, alla necessità di una riflessione
sui criteri di accesso alla professione giornalistica, una considerazione che
prescinde dall'eventuale riforma dell'ordine".
Sembra di capire che Bonaiuti (che è iscritto all'Albo dei giornalisti) non
intende il "ripensamento" nel senso indicato da Abruzzo, ma forse
dovrebbe essere più chiaro. Perché, da qualsiasi parte si voglia vedere la
cosa, la posta in gioco è la libertà di espressione, e dunque il pilastro
fondamentale di ogni democrazia.
Ma il discorso sull'accoglimento delle disposizioni europee non si esaurisce
con le modifiche alla legge 62/01. Lo stesso articolo 30 del disegno di legge
comunitaria prevede anche una serie di disposizioni sulla responsabilità dei
fornitori di servizi, mentre l'art. 29
dispone per la revisione delle norme in materia di diritto d'autore. Ne
parleremo presto.
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