Paura e confusione. Questo è
quanto emerge dalle moltissime e-mail che giungono da
blogger, gestori di siti web, aspiranti giornalisti o
editori, dopo la bislacca sentenza del
tribunale di Modica, che ha condannato un blogger
a 150 euro di multa per il reato di "stampa
clandestina". Colpa di una legge ancora più
bislacca, la 62 del 2001, che si rifà alla 47 del lontano 1948.
Ora si discute di una proposta di legge (C.1921),
presentata dal deputato Roberto Cassinelli, che
vorrebbe risolvere tutti i problemi con poche modifiche alle
due leggi incriminate. Proposta scritta, si legge
nella relazione, "con il contributo e la
collaborazione del popolo della rete internet, dei
blogger italiani e dei tecnici delle riviste
specializzate". Con risultati deludenti.
Il quadro normativo attuale
Procediamo con ordine e partiamo dalla normativa
sotto accusa, introdotta dalla famigerata legge 7 marzo 2001, n. 62
"Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e
modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416". Vediamo i passaggi
fondamentali di questa legge, per la materia che ci
interessa.
1. Al primo punto c'è la definizione di "prodotto
editoriale", che comprende "il
prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto
informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di
informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso
la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici
o cinematografici" (art. 1, c. 1). Non rientrano nella nozione di prodotto
editoriale "i supporti che riproducono
esclusivamente suoni e voci, le opere filmiche ed i prodotti destinati
esclusivamente all’informazione aziendale sia ad uso interno sia presso il
pubblico" (art. 1. c. 2).
2. Stabilisce poi la legge che "Al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di
cui all’ articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Il prodotto
editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da
una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto,
altresì, agli obblighi previsti dall’articolo 5 della medesima legge
n. 47 del 1948" (art. 1, c. 3; l'art. 5 della legge 47 prevede la
registrazione dei periodici, con l'indicazione del
direttore responsabile). Questo è il punto-chiave, dal quale
derivano i problemi di oggi. Infatti la legge del 48,
dopo aver limitato all'art. 1 la nozione di
"stampa o stampato" ai soli prodotti su
carta, all'art. 2 introduce due obblighi per chi
pubblica:
a) di indicare "il luogo e l'anno della pubblicazione, nonché il
nome e il domicilio dello stampatore e, se esiste, dell'editore". Queste
indicazioni, in sostanza, valgono per i libri; inoltre
"i giornali, le pubblicazioni delle agenzie d'informazioni e i periodici di
qualsiasi altro genere devono recare la indicazione:
del luogo e della data della pubblicazione;
del nome e del domicilio dello stampatore;
del nome del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile";
b) una seconda, essenziale prescrizione è che
"all'identità delle indicazioni, obbligatorie e non obbligatorie, che
contrassegnano gli stampati, deve corrispondere identità di contenuto in tutti
gli esemplari".
E' chiaro a prima vista che queste prescrizioni non
si possono estendere automaticamente ai prodotti
editoriali telematici perché: a) il "luogo della
pubblicazione" è di difficile identificazione,
dal momento che il server web dal quale la
pubblicazione è diffusa è indifferente e può essere
cambiato in brevissimo tempo con estrema
semplicità"; b) non esiste uno
"stampatore" come soggetto che riproduce in n
copie lo stesso prodotto; c) non c'è "identità
di contenuto in tutti gli esemplari", poiché
ogni utente costruisce il suo esemplare prendendo solo
le pagine che gli interessano, anche pubblicate in
date diverse.
Risolve in parte il problema la modifica dell'art. 1,
c. 3 della proposta 1921, che limita alle
pubblicazioni cartacee l'estensione di questa norma
operata dalla legge del 2001.
3. Stabilisce poi l'art. 16 della legge del 2001
che "i soggetti tenuti all’iscrizione al registro degli operatori di
comunicazione, ai sensi dell’articolo 1, comma 6, lettera a), numero
5), della legge 31 luglio 1997, n. 249, sono esentati dall’osservanza
degli obblighi previsti dall’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948,
n. 47". Con un'aggiunta: "L’iscrizione è condizione per l’inizio delle
pubblicazioni".
Sotto la rubrica "semplificazioni" che
contraddistingue questo articolo, si nasconde in
realtà un terribile pasticcio. Infatti: a) i
"soggetti" contemplati dalla legge 249/97 (la
celebre "Maccanico") sono solo
"imprese" e non persone fisiche; b)
l'iscrizione al registro della stampa comporta l'indicazione del direttore responsabile (che per
la legge 63/69 deve essere iscritto all'Ordine dei
giornalisti), mentre questa condizione non è
richiesta per l'iscrizione al registro degli operatori
di comunicazione; c) l'iscrizione come
"condizione per l'inizio delle
pubblicazioni" potrebbe cozzare contro l'art. 21
della Costituzione, costituendo di fatto una
"autorizzazione".
Queste disposizioni, come può constatare chiunque
abbia la pazienza di scorrere le pagine citate alla
fine di questo articolo, hanno suscitato subito accese
polemiche. Sicché il legislatore è intervenuto con
una specie di "interpretazione autentica"
nell'art. 7,
c. 3, del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70,
che chiarisce: "La registrazione della testata
editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente
per le attività per le quali i prestatori del
servizio intendano avvalersi delle provvidenze
previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62".
Riassumendo e semplificando, la situazione oggi è
questa:
a) nessun obbligo è previsto per le pubblicazioni
non periodiche, tranne le indicazioni previste
dall'art. 2 della legge del '48 (alle quali si
aggiunge il numero di partita IVA, secondo l'art. 35,
c. 1, del DPR 633/72, come modificato nel 2001);
b) i prodotti editoriali periodici devono essere
iscritti al registro della stampa del tribunale del
luogo di pubblicazione (quindi devono avere il
direttore responsabile iscritto all'Ordine dei
giornalisti);
c) le imprese editoriali che
intendono avvalersi delle provvidenze per l'editoria
devono iscriversi al ROC. L'iscrizione al ROC
esonera dall'iscrizione nel registro della stampa,
quindi non occorre il direttore responsabile (una
stranezza in forte odore di incostituzionalità,
perché comporta una disparità di trattamento non
indifferente tra la carta e il web).
In conclusione, non c'è alcuna norma che
obblighi i titolari di siti internet personali, blog,
forum e quant'altro, a qualsivoglia iscrizione in
qualsivoglia registro. A condizione che
l'aggiornamento del sito non sia periodico (cioè a
intervalli regolari).
La sentenza di Modica
L'allarme che si è diffuso dopo la sentenza di
Modica è del tutto ingiustificato e sembra suscitato
ad arte da qualche leguleio in cerca di notorietà.
Prima di tutto perché nel nostro ordinamento una
sentenza di tribunale non costituisce un precedente
vincolante per nessun altro tribunale. Poi perché
la decisione è chiaramente viziata da un
eccesso di fantasia del giudice. Questi infatti non ha
interpretato la norma seguendo il dettato dell'art. 12
c.c. "Interpretazione della legge", che
dice: "Nell'applicare la legge non si può ad
essa attribuire altro senso che quello fatto palese
dal significato proprio delle parole secondo la
connessione di esse, e dalla intenzione del
legislatore".
La norma in questione impone la registrazione
per i prodotti editoriali pubblicati "con
periodicità regolare" (dove l'aggettivo
"regolare" è inutile, perché il senso
proprio della parola "periodicità" è
appunto "a intervalli regolari"; però qui aiuta a capire, senza possibilità di
equivoci, l'intenzione del legislatore). Invece il
giudice di Modica ha valutato come
"periodicità regolare" la
"sistematicità" dell'aggiornamento. Ha
dunque confuso il
"significato proprio delle parole", imposto
come criterio interpretativo dall'art. 12 c.c. La sentenza
è un incidente destinato all'oblio (vedi anche "Stampa clandestina": una sentenza inaccettabile).
Il progetto di legge 1921
Cavalca la tigre dell'allarme il deputato
Roberto Cassinelli del PDL. Che annuncia una proposta
di legge "salvablog", con la modifica di
alcune disposizioni della 62/01. Il primo
testo è diffuso in rete, viene subissato da una
valanga di critiche, viene riformulato un paio di
volte e alla fine presentato alla Camera, dove assume
il numero 1921. E viene salutato da più parti come
una panacea.
La realtà, leggi alla mano, è diversa. Prima di
tutto perché oggi blog e altre libere manifestazioni
del pensiero non hanno nessuna necessità di essere
"salvate" da presunte norme liberticide
delle leggi vigenti. Sono stati
presentati progetti "ammazzablog", poi ritirati di fronte alla pronta reazione della rete.
Quindi non c'è alcuna situazione di allarme, nessun
motivo urgente di "salvare" qualcuno o qualcosa.
Il testo della proposta 1921 modifica la legge 62/01,
aggiungendo all'art. 1 un comma 4, che impone
l'iscrizione nel registro della stampa nei casi in cui
il prodotto editoriale pubblicato sull'internet è
("risulta essere", nell'orribile italiano
del testo) "l’edizione telematica di un
prodotto editoriale realizzato su supporto cartaceo
per il quale sussistono tali obblighi, e con esso ha
in comune l’editore o il direttore responsabile".
Dunque i siti internet dei periodici su carta, già
obbligati alla registrazione, devono essere a loro
volta registrati. Prendi uno e paghi due! No, non è
vero, "qui lo dico e qui lo nego": il testo
prevede un comma 5 che annulla la disposizione del
precedente, nel caso in cui sul sito internet sia
citata la registrazione del periodico cartaceo. A
parte il fatto che non sono rispettate le disposizioni
della Guida alla redazione dei testi
normativi, secondo le quali i commi aggiunti
dovrebbero essere indicati come "3-bis" e
"3-ter", basterebbe scrivere che "nei
siti internet che costituiscono edizioni telematiche
di periodici cartacei devono essere indicati gli
estremi della registrazione".
Andiamo avanti. Secondo la proposta Cassinelli
devono essere registrati i siti per i quali l'editore
intenda chiedere le provvidenze previste dall'art. 3
(della legge 62/01). A prima vista nulla cambia
rispetto alla situazione attuale. Ma, mentre ai sensi
del combinato disposto dell'art. 1, c. 3, della 62/01
e dell'art. 7, c. 3 del DLGV 70/03, l'iscrizione era
prevista al ROC, qui è prevista nel registro del
tribunale, ai sensi dell'art. 5
della legge 47/48. Per di più l'obbligo non riguarda
solo i periodici, ma "tutti i prodotti editoriali
pubblicati sulla rete internet". Conseguenza
immediata: direttore responsabile iscritto all'Ordine
anche per le pubblicazioni non periodiche. Con
conflitto di norme tra l'art. 5 della 47/48 e quella
che si vorrebbe introdurre.
Ancora. Si prevede la registrazione presso il
tribunale quando "il prodotto editoriale
pubblicato sulla rete internet ha quale scopo unico o
prevalente la pubblicazione e diffusione di notizie di
attualità, cronaca, politica, costume, economia,
cultura o sport, e sussistono entrambe le seguenti
condizioni: il prodotto editoriale è gestito in modo
professionale, oltre che dall’editore o
proprietario, da una redazione di almeno due persone
regolarmente retribuite; il prodotto editoriale
contiene al proprio interno inserzioni pubblicitarie
che complessivamente costituiscono per l'editore fonte
di reddito lordo per un importo non inferiore ad Euro
50.000 annui".
A parte il fatto che "euro" si scrive con
l'iniziale minuscola, secondo il regolamento (CE) N.
974/98 del Consiglio europeo del 3 maggio 1998, anche
questa norma prevede l'obbligo di registrazione al
tribunale per "tutti i prodotti editoriali
pubblicati sulla rete internet", quindi anche
quelli non periodici.
Dunque la proposta non alleggerisce, ma aggrava,
gli obblighi per gli editori dei siti internet.
Vediamo infine l'art. 3 della proposta 1921.
Cancella il reato di "stampa clandestina"
sostituendolo con l'illecito amministrativo di "Omessa
registrazione e omessa o non veritiera indicazione del
nome dell’editore o dello stampatore". Bene,
benissimo. Ma...
Viene meno qualsiasi previsione penale per la vera
"stampa clandestina", cioè per le
pubblicazioni anonime attraverso le quali si possono
commettere diversi illeciti, dalla diffamazione
all'aggiotaggio. E fin qui può andare bene, questi
reati sono comunque puniti. Il problema è che nel
testo ritornano lo stampatore e l'editore. In
contraddizione anche con la relazione che accompagna
il testo. Manca una disposizione che chiarisca le
indicazioni che devono essere presenti su un sito
internet.
In conclusione siamo di fronte a una proposta di
legge inutile, superficiale e contraddittoria. Ma
perfetto esempio di abile demagogia, a differenza di
quelle che appaiono repressive e liberticide a prima
vista.
Se veramente si vuole introdurre una normativa
sull'informazione in linea con i tempi, si devono
prima di tutto abrogare le leggi del '48 sulla stampa
e del '63 sulla professione giornalistica.
Sostituendole con una normativa "di sistema"
che distingua tra l'informazione professionale,
soggetta a obblighi e diritti, e quella spontanea
dell'internet. Che non può avere altro limite che
quello della identificabilità dell'autore. Senza
schedature, comunque formulate e giustificate.
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